ABSTRACT
L’utilizzo di formule algoritmiche per l’adozione di provvedimenti amministrativi ha innescato, sia in dottrina che in giurisprudenza, un vivace e stimolante dibattito. Ed infatti, da un lato, l’utilizzo dell’automazione nell’esercizio dell’azione delle P.A. comporterebbe, senza dubbio, innumerevoli vantaggi sia in termini di maggiore digitalizzazione ed efficienza dell’azione stessa che di razionalizzazione dell’organizzazione amministrativa; dall’altro, tuttavia, l’applicazione tout courtdel metodo algoritmico non sfuggirebbe ad alcune criticità legate all’utilizzo dell’automazione in funzione decidente. In particolare, nel ricorso all’I.A., l’autorità pubblica è chiamata al rispetto di tutti quei livelli minimi inderogabili di tutela della trasparenza e di conoscibilità dell’algoritmo, specialmente laddove l’attività amministrativa sia di natura “discrezionale”, nonché delle garanzie tipiche del procedimento amministrativo.
Gianluigi DELLE CAVE, Dottorando di ricerca in Business&Law – Istituzioni e Impresa e cultore della materia in Diritto Amministrativo II e Diritto dell’Ambiente (IUS/10) presso l’Università degli Studi di Brescia (UNIBS)
Intelligenza Artificiale e Pubbliche Amministrazioni: l’algoritmo matematico al cospetto dei principi generali dell’attività e del procedimento amministrativo
Sommario
1.L’algoritmo matematico ed il procedimento amministrativo; 2.I limiti dell’amministrazione “algoritmica”; 3.Automazione amministrativa: brevi considerazioni sul c.d. “atto software”;4.Conclusioni
1. L’algoritmo matematico ed il procedimento amministrativo
L’applicazione degli algoritmi matematici – i.e.quei processi sistematici di calcolo, oggi per lo più destinati a essere eseguiti da un automa esecutore quale un computer– nel procedimento amministrativo ha innescato, sia in dottrina che in giurisprudenza, un vivace e stimolante dibattito. In generale, vale l’assunto secondo cui la pubblica amministrazione deve poter sfruttare le rilevanti potenzialità della c.d. “rivoluzione digitale”. Del resto, ci si trova dinanzi ad una situazione che, in sede dottrinaria, è stata efficacemente qualificata con l’espressione di “rivoluzione 4.0” la quale, riferita alla P.A. ed alla sua attività, descrive la possibilità che il procedimento di formazione della decisione amministrativa sia affidato, per l’appunto, a un software, nel quale vengono immessi una serie di dati così da giungere, attraverso l’automazione della procedura, alla decisione finale[1]. In tale contesto, quindi, il ricorso ad algoritmi informatici per l’assunzione di decisioni che riguardano la sfera pubblica e privata sembrerebbe fondarsi su paventati guadagni in termini di efficienza e neutralità. Le decisioni prese dall’algoritmo, in sintesi, assumerebbero un’aura di imparzialità, in quanto ex sefrutto di asettici calcoli razionali basati su dati, volti alla correzione di storture ed imperfezioni che caratterizzano tipicamente i processi cognitivi e le scelte compiute dagli esseri umani. Pertanto, l’ammissibilità di tali strumenti risponderebbe – perfettamente? – ai canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art. 1 della l. n. 241/90), i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione proprio il conseguimento dei propri fini con il minor dispendio di mezzi e risorse e attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iterprocedimentale[2]. L’applicazionetout courtdella “matematica digitale” alle decisioni della P.A., tuttavia, non sfugge ad alcune, sostanziali, considerazioni critiche. Innanzitutto, come evidenziato da alcune recenti pronunce dei giudici amministrativi, l’utilizzo all’algoritmo va correttamente inquadrato in termini di “modulo organizzativo”, vale a dire di strumento procedimentale ed istruttorio, soggetto alle verifiche tipiche di ogni procedimento amministrativo, il quale resta il modus operandidella scelta autoritativa, da svolgersi sulla scorta delle legislazione attributiva del potere e delle finalità dalla stessa attribuite all’organo pubblico, titolare del potere (ex multis, Cons. St. nn. 8472/2019 e 2270/2019)[3]. Difatti, la regola tecnica che governa ciascun algoritmo resterebbe pur sempre una regola amministrativa generale, costruita dall’uomo e non dalla macchina, per essere poi (solo) applicata da quest’ultima, anche se ciò avviene in via esclusiva. Questa “regola algoritmica”, in buona sostanza, (i) avrebbe piena valenza giuridica e amministrativa, anche se declinata in forma matematica, e come tale, soggetta ai principi generali dell’attività amministrativa, quali quelli di pubblicità e trasparenza (art. 1 della l. n. 241 cit.), di ragionevolezza, di proporzionalità; (ii) non potrebbe lasciare spazi applicativi discrezionali – di cui l’elaboratore elettronico è, de facto, privo –, dovendo quindi prevedere, con ragionevolezza, una soluzione definita per tutti i casi possibili, anche i più improbabili (e ciò la rende in parte diversa da molte regole amministrative generali); (iii) dovrebbe garantire l’imputabilità della decisione all’organo titolare del potere, il quale deve poter svolgere la necessaria verifica di logicità e legittimità della scelta e degli esiti affidati all’algoritmo. In altri termini, dovrebbe essere garantita la piena verifica a valle, in termini di logicità e di correttezza degli esiti, a garanzia dell’imputabilità della scelta al titolare del potere autoritativo, individuato in base al principio di legalità, nonché della verifica circa la conseguente individuazione del soggetto responsabile, sia nell’interesse della stessa P.A. che dei soggetti coinvolti ed incisi dall’azione amministrativa affidata all’algoritmo[4]. Dai suddetti elementi di minima garanzia per ogni ipotesi di utilizzo di algoritmi in sede decisoria pubblica, deriva una logica conseguenza: il meccanismo attraverso il quale si concretizza la decisione robotizzata (ovvero l’algoritmo) deve essere “conoscibile”, secondo una declinazione rafforzata del principio di trasparenza, che implica anche quello della piena conoscibilità di una regola espressa in un linguaggio differente da quello giuridico. Ciò al fine di poter verificare che i criteri, i presupposti e gli esiti del procedimento robotizzato siano conformi alle prescrizioni e alle finalità stabilite dalla legge o dalla stessa amministrazione a monte di tale procedimento e affinché siano chiare – e conseguentemente sindacabili – le modalità e le regole in base alle quali esso è stato impostato[5].
2. I limiti dell’amministrazione “algoritmica”
Da quanto sopra, emergono diversi interrogativi di ordine pratico, soprattutto con riferimento ai limiti nell’utilizzo delle formule algoritmiche. Innanzitutto, sembra opportuno chiedersi se è possibile avvalersi tout courtdelle tecnologie algoritmiche nell’azione della pubblica amministrazione. A tal proposito, non si possono certamente ignorare le innovazioni e i miglioramenti che tali sistemi possono apportare nelle decisioni amministrative:basti pensare al Codice della Amministrazione Digitale[6]e tutta la grande spinta alla digitalizzazione della amministrazione cosìcome al tema dell’e-government. Né si può negare l’utilità della automazione dinanzi ad operazioni routinarie o seriali. E tuttavia, la giurisprudenza amministrativa di primo grado più volte ha escluso la possibilità di applicare tali strumenti “in sostituzione” dell’intero procedimento amministrativo, ovvero ad intere fasi endoprocedimentali. Ed infatti, i TAR hanno affermato chiaramente il principio del divieto di decisioni “esclusivamente” automatizzate, ovverosia di decisioni effettuate da un algoritmo (sia esso programma informatico o macchina) in maniera “autonoma”, oltre che “automatica”e cioèsenza l’intervento di un decisore umano[7]. A conferma di ciò, nell’eventualità che la PA decidesse di avvalersi di procedure totalmente automatizzate, essa dovrà comunque prevedere procedure amministrative parallele di tipo tradizionale ed attivabili in via di emergenza, in caso di non corretto funzionamento dei sistemi informatici predisposti per il fisiologico inoltro della domanda. La giurisprudenza amministrativa, più nel dettaglio, desume questo principio direttamente dai valori costituzionali scolpiti negli artt. 3, 24, 97 della Costituzione, oltre che all’art. 6 della Convezione europea dei diritti dell’uomo. In buona sostanza l’attività impersonale svolta in applicazione di regole o procedure informatiche o matematiche, in realtà, non potrebbe definirsi come una vera e propria “attività”,ossia prodotto delle azioni dell’uomo, vale a dire che si puòavere “attività amministrativa”, solo laddove vi sia «l’attività dianoetica del funzionario, indispensabile per ponderare i fatti e gli interessi», anche quando ci si trovi dinanzi ad una mera attività vincolata. In altri termini, le procedure informatiche, anche ove pervengano al loro maggior grado di precisione e addirittura alla perfezione, non potrebbero mai soppiantare, sostituendola davvero appieno, l’attività cognitiva che solo un’istruttoria affidata ad un funzionario persona fisica è in grado di svolgere, «ostando alla deleteria prospettiva orwelliana di dismissione delle redini della funzione istruttoria» (TAR Lazio, III bis, 10 settembre 2018, n. 9224 e n. 9230)[8]. In assenza, dunque, di volontà nell’atto giuridico (che rappresenta tipicamente l’espressione dinamica della libertà umana, che può obbedire ovvero trasgredire la regola giuridica), è esclusa in radice – secondo i giudici amministrativi di primo grado – la qualità di “atto” di quei provvedimenti amministrativi il cui contenuto è determinato in totoda un sistema di intelligenza artificiale senza alcun apporto sensibile di un decisore umano. Tale approccio, tuttavia, parrebbe mitigato – come visto – dal Consiglio di Stato che, tuttavia, riconosce la natura di atto amministrativo “informatico” solo ad algoritmi utilizzati nel ristretto campo della amministrazione puramente vincolata. In questi casi, infatti, la regola tecnica che governa ciascun algoritmo resta pur sempre una regola amministrativa generale, costruita dall’uomo e non dalla macchina, per essere poi (solo) applicata da quest’ultima, anche se ciò avviene in via esclusiva (Cons. St., n. 2770/2019), con ciò salvando, de facto, l’aspetto della volontà umana nella costruzione della regola algoritmica. A prescindere, dunque, dalla natura di amministrazione vincolata o discrezionale, la decisione amministrativa affidata all’automa pone in rilievo comunque il tema della conoscibilità, della ragione di tale decisione. Il rischio principale, in sintesi, è costituito dal fatto che una decisione presa “automaticamente” possa privare – strutturalmente – il suo destinatario della possibilità di ricostruirne l’iterlogico. Da qui la necessità – espressa dalla giurisprudenza amministrativa tutta – che la regola algoritmica sia non solo conoscibile[9], ma anche assoggettabile alla piena cognizione, e al pieno sindacato, del giudice amministrativo, chiamato a valutare, da un lato, la correttezza del processo informatico in tutte le sue componenti (dalla sua costruzione, all’inserimento dei dati, alla loro validità, alla loro gestione); dall’altro, la logicità e ragionevolezza della decisione amministrativa robotizzata, ovvero della “regola” che governa l’algoritmo[10].
3. Automazione amministrativa: brevi considerazioni sul c.d. “atto software”
Orbene, se in un procedimento amministrativo interviene un elaboratore elettronico (non solo in veste di mero fornitore di dati ma anche come esecutore di operazioni logiche), deve essere prestata la massima attenzione – come visto – alla fase della programmazione (il software) della macchina. Quest’ultimo, infatti, contiene tutte le istruzioni/regole attraverso cui si perviene, in buona sostanza, all’ottenimento di una informazione e/o proposizione nuova (o diversa) rispetto ai dati in entrata. Detti dati devono, però, essere traducibili in un algoritmo, vale a dire in un numero finito di passaggi che conducono, univocamente, alla soluzione di un problema. Come rilevato, inoltre, nel paragrafo precedente, fra le conseguenze dell’uso dell’intelligenza artificiale nell’amministrazione pubblica, di particolare importanza è l’anticipazione del momento discrezionale nell’esercizio del potere pubblico dalla fase di emissione del provvedimento a quella di determinazione dei presupposti in presenza dei quali emetterlo (i.e. la “redazione” del software, del linguaggio tecnico). Se, dunque, il potere è esercitato attraverso la predisposizione del programma e l’atto finale è da esso predeterminato nei presupposti e nel contenuto, si perviene, de facto, ad ammetterne la natura provvedimentale[11]. Come evidenziato, altresì, da autorevole dottrina, il momento dell’esercizio del potere rappresenta, anche nell’automazione, la chiave di volta dell’intero apparato informatico. Ciò implica che lo sviluppo dell’automazione attraverso l’ampliamento del grado di “vincolatezza” delle norme non costituisce percorso idoneo: ed infatti, fra la legge e l’atto, c’è sempre il potere inteso come «energia di trasformazione giuridica e quindi la pubblica amministrazione come soggetto che quel potere deve rendere attivo con una propria manifestazione di volontà»[12]. In buona sostanza, la possibilità di automatizzare l’adozione di provvedimenti amministrativi è legata all’identificazione di un momento e di una forma di esercizio e manifestazione idonea all’uso dell’algoritmo. La persistenza – anche nella regola algoritmica – di una “fase di scelta” rappresenta, quindi, un momento fondamentale ai fini dell’automatizzazione dell’attività amministrativa[13]. Più nel dettaglio, ma con riferimento all’attività amministrativa discrezionale della P.A., si è rilevato come (nel caso dell’attività automatizzata), «essendo strutturalmente necessaria una valutazione anticipata delle situazioni di fatto ai fini dell’adozione delle scelte discrezionali idonee a predeterminare il contenuto di una serie di atti puntuali»[14], risulta necessario un deciso incremento dell’attività conoscitiva dell’autorità decidente, anche attraverso l’adozione di tutte le misure idonee all’acquisizione anticipata degli interessi dei futuri destinatari degli atti “automatizzati”. Da quanto sopra, in sintesi, ne discende che l’automazione di decisioni amministrative deve essere accompagnata da una manifestazione di volontà della P.A., per cui (i) vi sia una valutazione a prioridelle situazioni di fatto rilevanti per l’esercizio del potere; (ii) sia associato a tali situazioni un determinato contenuto del provvedimento; (iii) l’esatta individuazione del destinatario possa essere effettuata anche in un momento successivo, attraverso un atto di accertamento. Ebbene, la questione che si pone, isolate dette caratteristiche, è se l’adozione – preliminare – dell’atto software(preordinato alla successiva emanazione di atti automatici) costituisca attuazione del principio di economicità ed efficacia del procedimento amministrativo (art. 1, l. n. 241/1990) e se sia rispettato il divieto di aggravio del procedimento medesimo (art. 1 cit.). Sembrerebbe, prima facie, che dette condizioni vengano puntualmente rispettate[15]. Più articolato, invece, appare il tema della partecipazione (e dei relativi oneri di cui agli artt. 7 ss., l. n. 241/1990) al procedimento automatizzato, soprattutto in termini di comunicazione e pubblicizzazione dell’avvio del procedimento stesso nei confronti di quei soggetti nella cui sfera il provvedimento amministrativo è destinato a produrre effetti[16]. Più in generale, la P.A. deve comunque garantire – effettivamente – la possibilità di un intervento umano in grado di provvedere una motivazione umanamente comprensibile della decisione (il c.d. “human in the loop”), anche in ossequio ai tassativi principi sulla partecipazione.
4. Conclusioni
L’automazione amministrativa, in conclusione, non costituisce una mera modalità operativa di esercizio del potere amministrativo ma rappresenta un momento ricco di modificazioni strutturali nell’articolazione del procedimento amministrativo classico. In particolare, poi, la scelta di automatizzare l’area provvedimentale della P.A. conduce ad anticipare al momento della programmazione del softwarel’esercizio del potere di determinazione del contenuto di classi o serie di futuri provvedimenti puntuali.Partendo da tali presupposti, il dibattito intorno all’ammissibilità degli algoritmi (intesi quali atti amministrativi – sottoforma di codice sorgente – che, una volta in funzione, diventano altro da sé, vale a dire procedimento, modulo organizzativo ecc.), dunque, non deve orientarsi verso la creazione di nuove categorie giuridiche concettuali alle quali ricondurli bensì rende necessario interrogarsi sullaquestione della loro compatibilità con i principi posti a presidio delle garanzie procedimentali, dalle quali, come visto, non si può prescindere (si veda l’imparzialità, la pubblicità e la trasparenza, funzionali alla conoscibilità della decisione). Si consideri, poi, che la “caratterizzazione multidisciplinare” dell’algoritmo (costruzione che certo non richiede solo competenze giuridiche, ma tecniche, informatiche, statistiche, amministrative) non esime dalla necessità che la “formula tecnica”, che di fatto rappresenta l’algoritmo, sia corredata da spiegazioni che la traducano nella “regola giuridica” ad essa sottesa e che la rendano leggibile e comprensibile, sia per i cittadini che per il giudice[17]. Del resto, come ben evidenziato da C. Giustozzi, la legge (rectiusla regola giuridica), così come una ricetta di cucina, non è un algoritmo: ossia una sequenza formale di istruzioni non ambigue e prive di arbitrio che, applicate a situazioni identiche, conducono inevitabilmente ai medesimi risultati.
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[1] Secondo Lucatuorto P.L.M. e Bianchini S., Discrezionalità e contemperamento degli interessi nei processi decisionali dall’amministrazione digitale, in Ciberspazio e dir., 2009, 43, tuttavia, «i sistemi per la decisione automatica[…] si limitino[…]a cogliere solo l’aspetto più superficiale della conoscenza e del ragionamento giuridico».
[2] Si vedaViola L., L’intelligenza artificiale nel procedimento e nel processo amministrativo: lo stato dell’arte, in Foro Amm., fasc. 9, 2018, pp. 1598 e ss.
[3] Al proposito, la giurisprudenza ha spesso rilevato che «il giudice amministrativo non ha il potere di valutare la validità delle scelte operate dall’amministrazione, in relazione ai programmi applicativi ed alle macchine utilizzate, quando la parte interessata non abbia addotto o provato che le lamentate carenze del sistema di conduzione del concorso e di correzione delle prove avevano avuto specifiche conseguenze pregiudizievoli nell’espletamento delle prove o nella loro valutazione» (ex aliis, Cons. Stato, sez. VI, 24 ottobre 2000, n. 5682; 23 novembre 1994, n. 1687); in maniera speculare, la dottrina ha, quindi, rilevato come la giurisprudenza si sia espressa indicando l’insindacabilità della decisione della pubblica amministrazione di avvalersi di procedure automatizzate di svolgimento dell’azione amministrativa, poiché scelta afferente al merito, notoriamente sottratto al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo, tranne che nei casi di illogicità o irrazionalità manifesta delle scelte operate.
[4] Secondo il TAR Lazio (sez. III bis, 27 maggio 2019, n. 6606) «un algoritmo, quantunque, preimpostato in guisa da tener conto di posizioni personali, di titoli e punteggi, giammai può assicurare la salvaguardia delle guarentigie procedimentali che gli artt. 2, 6,7,8,9,10 della legge 7.8.1990 n. 241 hanno apprestato, tra l’altro in recepimento di un inveterato percorso giurisprudenziale e dottrinario…. gli istituti di partecipazione, di trasparenza e di accesso, in sintesi, di relazione del privato con i pubblici poteri non possono essere legittimamente mortificati e compressi soppiantando l’attività umana con quella impersonale, che poi non è attività, ossia prodotto delle azioni dell’uomo, che può essere svolta in applicazione di regole o procedure informatiche o matematiche». A essere inoltre vulnerato, dunque, non sarebbe solo il canone di trasparenza e di partecipazione procedimentale, ma anche l’obbligo di motivazione delle decisioni amministrative, con il risultato di una frustrazione anche delle correlate garanzie processuali che declinano sul versante del diritto di azione e difesa in giudizio di cui all’art. 24 Cost., diritto che risulta compromesso tutte le volte in cui l’assenza della motivazione non permette inizialmente all’interessato e successivamente, su impulso di questi, al giudice, di percepire l’iter logico – giuridico seguito dall’amministrazione per giungere ad un determinato approdo provvedimentale.
[5] Secondo Ferrara R., Il giudice amministrativo e gli algoritmi. note estemporanee a margine di un recente dibattito giurisprudenziale, Diritto Amministrativo, fasc.4, 2019, pp. 773 e ss., la penetrazione delle “regole della tecnica nel diritto” sembra essere un fenomeno di portata “epocale” capace di imporre un rinnovato ordine di riflessioni, e forse di conclusioni di valore sicuramente sistemico. Secondo l’autore, «il giudice amministrativo ha senza dubbio intercettato, in tutte le sue più recenti pronunzie, tale emersione problematica e ne ha sicuramente messo a nudo gli angoli più scoperti e sensibili […] anche se il tema non viene deliberatamente affrontato, la discrezionalità di cui si parla è quella convenzionalmente definita come tecnica, nel senso che i “fatti complessi”, dei quali debbono essere investigati e chiariti tutti i molteplici e più riposti aspetti, sono per l’appunto complessi perché implicati con la necessaria conoscenza di campi disciplinari che rinviano alle scienze c.d. dure, presupponendo comunque, anche se in funzione strumentale e servente, la padronanza delle nuove tecnologie e, segnatamente, delle discipline informatiche. E, su questo terreno, il giudice amministrativo non si interroga soltanto sulla natura, e sulla dimensione quali-quantitativa, del potere discrezionale delle amministrazioni pubbliche al tempo del “diritto della scienza incerta” ma anche sulla sua collocazione spazio-temporale allorché l’esercizio delle facoltà discrezionali vada a intrecciarsi e ad implicarsi con l’esercizio di poteri c.d. vincolati e/o di un potere dal quale esulerebbe comunque ogni pur residuale potestà di apprezzamento discrezionale dei fatti, sia semplici che complessi, che rilevano in un procedimento amministrativo».
[6] Decreto Legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
[7] Si veda, ex multis, TAR Lazio, n. 3769/2017.
[8] Secondo Simoncini A., Profili costituzionali della amministrazione algoritmica, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., n. 4/2019, pp. 1149-1190, sembrerebbe, seguendo questa ricostruzione, che una decisione amministrativa esclusivamente automatica non possa di per sé considerarsi un atto giuridico. Ed infatti, nella giurisprudenza amministrativa richiamata, il riferimento è alla volontà come attività psichica; «l’impressione, infatti, è che nella teoria del diritto contemporaneo, generalmente inteso, il presupposto implicito è che la manifestazione di volontà sia una attività essenzialmente umana». Si può, dunque, immaginare un atto – quindi una manifestazione di volontà – senza un riferimento, diretto o mediato, ad una attività umana? Secondo l’autore, «in moltissimi casi la volontà dell’atto giuridico può essere ricondotta a soggetti che non sono persone fisiche attuali. Si pensi agli atti delle persone giuridiche — sia private che pubbliche — ovvero alla teoria della interpretazione degli atti (ad esempio, quelli normativi) in cui la volontà non coincide — necessariamente — con quella soggettiva della persona (o delle persone) che materialmente hanno preso la decisione. Non v’èdubbio però, che l’esistenza di una volontà, (soggettivamente o oggettivamente) intesa come decisione di perseguire o accettare un certo fine come movente della propria azione, è sempre stata considerata elemento fondamentale per l’esistenza stessa di un atto».
[9] Come rilevato in dottrina, affinché si possa conoscere la motivazione con la quale un algoritmo prende una certa decisione, occorrerebbe che tale algoritmo sia “razionabile”, “esplicabile”, vale a dire descrivibile nella sua strutturazione causale, in modo da poterne “ripercorrerne l’iter logico”.
[10] Ancora sul tema della motivazione dell’atto amministrativo “algoritmico”, Simoncini A., Ibidem, evidenzia che mentrenell’atto meramente in forma elettronica, la decisione è determinata dall’essere umano (quindi, anche la motivazione, mentre la sola forma è elettronica), nell’atto algoritmico, invece, la motivazione è fornita dall’algoritmo. In particolare, l’idea, che si possa sempre determinare una motivazione, seppur “elettronica”, degli algoritmi non tiene conto del cambio di paradigma subito dall’intelligenza artificiale negli anni più recenti. Oggi, infatti, «ci troviamo dinanzi ad algoritmi – soprattutto quelli predittivi – che non hanno necessariamente una logica, quantomeno nel senso filosofico o deterministico-matematico […]. La maggior parte degli algoritmi di nuova generazione non si limita a dedurre in maniera deterministica conseguenze già contenute negli assiomi prefissati dal programmatore, sussumendo fatti concreti, ma in virtù dei sistemi automatici di apprendimento […] essi stessi producono i propri criteri di inferenza».
[11] Anche con riferimento all’adozione di provvedimenti discrezionali (e non solo, quindi, vincolati), si è affermato in dottrina che l’impossibilità di prevedere, in via generale, per i c.d. “concetti giuridici indeterminati” una interpretazione univoca (e quindi suscettibile di essere applicabile ad una serie di casi futuri) non deve far concludere nel senso della totale inautomatizzabilità del procedimento. In altri termini, se la indeterminatezza della normativa è limitata (cioè non investe la totalità o la quasi totalità della disciplina del procedimento) è possibile rimettere al funzionario la decisione in ordine a quelle norme che prevedono concetti determinati ed automatizzare la restante parte del procedimento.
[12] Fantigrossi U., Automazione e pubblica amministrazione. Profili giuridici, Il Mulino, 1993, p. 76.
[13] Per brevità di esposizione, non ci si soffermerà sulle – accennate – critiche all’applicazione dell’automazione all’attività amministrativa di tipo discrezionale. Sul punto, pare opportuno evidenziare che – secondo Fantigrossi U., Ibidem, p. 98 – il regime e i caratteri della discrezionalità amministrativa «non precludono affatto l’esercizio del potere amministrativo in quella forma particolare richiesta dall’automazione. La quale consiste […] nell’assunzione in un atto comune delle scelte discrezionali relative a una serie di successivi provvedimenti, i quali vengono così trasformati da provvedimenti discrezionali in accertamenti semplici».
[14] Fantigrossi U., Ibidem.
[15] Ed infatti la finalità dell’atto softwareè proprio quella di consentire un’azione amministrativa conforme ai principi costituzionali; inoltre, la previsione anticipata di svariate singole situazioni consentirebbe un agire rapido ed efficace.
[16] Sul punto, la dottrina ha evidenziato come la partecipazione dei privati al procedimento per l’adozione dell’atto softwaresi avvicinerebbe di più alla partecipazione uti cives, essendo solo una parte dei soggetti già interessata al provvedimento individuale nel momento della predisposizione dell’atto stesso.
[17] I vantaggi di un’automazione dei processi decisionali amministrativi sono certamente evidenti con riferimento a procedure seriali o standardizzate, caratterizzate da un alto tasso di vincolatezza o fondate su presunzioni, probabilisticamente significative di un certo fatto. Altrettanto rilevanti, tuttavia, sono le criticità. Come evidenziato da Patroni Griffi F., La decisione robotica e il giudice amministrativo, in giustizia-amministrativa.it, 2020, molte operazioni negoziali che intervengono tra privati, soprattutto nel settore della finanza o in quello assicurativo, sono governate da algoritmi; ma si tratta di operazioni fondate sul consenso in cui le parti accettano a monte le regole del gioco e “si fidano” delle stesse. La posizione delle parti nella relazione intersoggettiva tra privato e amministrazione, invece, «non si fonda sul consenso, che può sussistere ma che è normalmente estraneo alla struttura del rapporto amministrativo; e, d’altra parte, l’amministrazione è tenuta a una posizione di imparzialità (che è cosa diversa dalla neutralità) secondo regole e princìpi anche di valenza costituzionale. In tale contesto, l’algoritmo – o chi per lui- alla base della decisione amministrativa robotizzata deve essere in primo luogo “conoscibile”, cioè “trasparente” in tutti i suoi passaggi: dai suoi autori al procedimento usato per la sua elaborazione, comprensivo delle priorità assegnate nella procedura valutativa e decisionale e dei dati selezionati come rilevanti».
Biografia
Gianluigi DELLE CAVE, Dottorando di ricerca in Business&Law – Istituzioni e Impresa e cultore della materia in Diritto Amministrativo II e Diritto dell’Ambiente (IUS/10) presso l’Università degli Studi di Brescia (UNIBS)
Laureato in Scienze Politiche e della Comunicazione ed in Giurisprudenza presso la LUISS Guido Carli di Roma. È dottorando di ricerca in Business&Law– Istituzioni e imprese, curriculumscientifico Diritto Amministrativo, nell’Università degli Studi di Brescia, presso cui è cultore della materia in Diritto Amministrativo II e Diritto dell’Ambiente. Si occupa di diritto amministrativo, con particolare riferimento ai settori dei contratti pubblici, del governo del territorio e delle energie rinnovabili. È autore di diversi articoli e pubblicazioni, svolge attività di formazione e docenza.