Emanuela MOROTTI, “Quale collocazione giuridica per l’Intelligenza Artificiale?”

ABSTRACT
Le categorie giuridiche tradizionali faticano a ricomprendere fenomeni particolari come le Intelligenze Artificiali, trovandosi a dover scegliere tra due alternative: da un lato, quella di escludere tutto ciò che non è riconducibile ai modelli già noti, così relegando le I.A. al mondo del “non giuridico”; dall’altro, quella di forzarsi di imbrigliarle entro schemi tipizzati che sono stati elaborati in epoche molto diverse dalla nostra. In questo quadro, emerge senza dubbio l’esigenza di elaborare modelli che siano in grado di meglio fotografare la realtà giuridica dell’I.A.: una soluzione potrebbe essere quella di pensare a degli schemi a geometrie variabili, che consentano di trovare una collocazione flessibile e adatta a rispecchiare le caratteristiche di queste nuove entità. 

Emanuela MOROTTI, Assegnista di Ricerca Università degli Studi di Padova


Paper

Quale collocazione giuridica per l’Intelligenza Artificiale?

Premessa. La soggettività giuridica come concetto intrinsecamente legato alla figura umana

Il panorama giuridico contemporaneo si è trovato di fronte alla sfida di inquadrare entro gli schemi del diritto le intelligenze artificiali[1] (da qui in avanti I.A.), a partire dal concetto tradizionale di soggettività giuridica. Quest’ultima rappresenta la capacità di essere centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive attive e passive[2] e, per come è oggi configurata, non sembra essere un paradigma capace di comprendere al suo interno anche tali nuove entità. 

Il motivo deriva dal fatto che l’elaborazione della soggettività è stata forgiata dalla dottrina avendo come modello la persona fisica[3], così che le caratteristiche proprie dell’individuo umano sono diventati i tratti generali dell’intera categoria[4].

Anche se il concetto di soggetto di diritto non è rimasto limitato alle sole persone fisiche, ma si è esteso a ricomprendere anche entità non umane, quali gli enti collettivi, come associazioni, fondazioni, società, etc…tuttavia per giustificarne l’attribuzione agli enti, si è dovuto procedere ad un’operazione di “personificazione” ed “umanizzazione”[5] di tali figure, chiamate appunto “persone giuridiche”[6] proprio per enfatizzare la vicinanza concettuale all’essere umano[7].

Si può quindi affermare che la logica che consente l’attribuzione della soggettività alle persone giuridiche risponde ad uno schema relazionale che prende in considerazione il rapporto tra la persona giuridica e le persone fisiche che la costituiscono. Non è possibile riscontrare questo stesso tipo di relazione nelle I.A., dal momento che esse non formano un centro di imputazione per altri individui, e nemmeno svolgono un ruolo strumentale[8] all’espressione di altri soggetti[9]. Partendo da questi dati è possibile riflettere sulla possibilità di modulare la soggettività giuridica diversamente da come oggi la conosciamo, per cercare di capire se si possa estendere anche alle I.A. 

La soggettività giuridica tra visione statica e dinamica: analisi dei paradigmi dell’essere, dell’avere e dell’agire

Si propone un percorso che passa attraverso l’esame delle principali caratteristiche che si riscontrano nelle I.A., seguendo nella trattazione la suddivisione delle sfere di interessi legate alla dimensione dell’essere[10], dell’avere[11] e dell’agire giuridico, che costituiscono le categorie logiche classiche con le quali si rappresentano i diritti dei soggetti del mondo giuridico[12]. Questi tre profili sintetizzano le principali modalità con cui l’uomo si relaziona con i diritti e gli altri soggetti e, a seconda di quale componente si considera prevalente, è possibile esprimere una preferenza per una visione statica oppure dinamica della soggettività. 

  1. Il paradigma dell’essere 

Con il termine “essere” si vuole indicare l’essenza stessa che caratterizza l’individuo, ossia tutto ciò che appartiene alla dimensione della personalità e “della persona in quanto tale, nelle sue qualità rilevanti in una società data”[13]. In quest’ottica si mira alla tutela della persona e delle sue caratteristiche indipendentemente dal profilo patrimoniale. 

Il paradigma dell’essere costituisce l’elemento di maggiore distanza rispetto alle persone fisiche, non essendo ancora possibile riscontrare nelle I.A. una vera e propria personalità caratteriale, diversa dalla capacità intellettiva e di apprendimento. Al di fuori di abilità cognitive, intellettive e razionali[14], manca ancora un substrato relativo alle componenti affettive, emotive e relazionali, ossia, in breve, a tutto ciò che rientra nella definizione di una propria personalità caratteriale[15].

Ne deriva che il profilo, in cui più debole si manifesta la necessità di un riconoscimento di diritti, riguarda attualmente la sfera legata al paradigma dell’essere, dal momento che emerge l’immagine di una personalità solo parziale e decurtata, limitata alla componente intellettiva, ma incapace di afferrare completamente tutte le funzionalità della psiche umana, traducendosi tale mancanza in un deficit anche a livello di rapporti relazionali complessi. Questo dato rende problematica l’attribuzione di tutti quei diritti che rientrano sotto l’etichetta di “diritti della personalità”, quali il diritto alla riservatezza, al nome, all’immagine, etc.[16]. In mancanza di una personalità e identità da tutelare, non si può quindi che concludere nel senso di negare il riconoscimento dei diritti della personalità alle I.A. 

  • Il paradigma dell’avere

Con il termine “avere” si indica la sfera legata alla patrimonialità, che si manifesta nella titolarità di diritti reali e di posizioni giuridiche di appartenenza. All’interno di questa dimensione, il soggetto è protetto in quanto “proprietario o in quanto contraente”[17], ed è inteso principalmente come “portatore” di diritti, la cui caratteristica principale risiede in una “attitudine alla titolarità” generalizzata.

La sussistenza del paradigma dell’avere si pone in maniera particolarmente problematica, dovendosi dare una risposta univoca ad una domanda di non facile soluzione, relativa alla possibilità di considerare le I.A. come autonomi centri di imputazione di diritti e di doveri. Si tratta di capire, in particolare, se gli atti patrimoniali possano essere riferiti direttamente all’I.A. che li ha compiuti e così formare un patrimonio distinto e separato da quello del loro utilizzatore.

A tal proposito, è necessario tenere in considerazione l’attuale posizione giuridica delle I.A. rispetto alle quali, come abbiamo visto, non è ad oggi riconosciuta la qualità di soggetti di diritto. 

Da ciò deriva che ammettere che l’I.A. sia titolare di un proprio patrimonio significa consentire la possibilità che sia costituito un patrimonio senza soggetto[18], ossia del tutto slegato dalla riferibilità a qualcuno cui possa far capo. Una simile soluzione, se fosse accolta, solleverebbe una serie di difficoltà relative non solo ai rapporti con i creditori, ma anche rispetto allo stesso andamento del rapporto obbligatorio, qualora fosse richiesto, per la sua attuazione, l’esercizio di attività di tipo esecutivo e materiale. Altri problemi sarebbero legati alla prestazione di garanzie reali o personali, e, non da ultimo, alla sorte dei rapporti giuridici attivi e passivi nel caso di cessazione della loro operatività. 

Non resta che osservare che l’ambito dei rapporti patrimoniali presenta dei limiti che attualmente non sono superabili. Per questo motivo, è preferibile ritenere che in capo all’utilizzatore o al soggetto che ne dispone siano imputati tutti i rapporti giuridici di cui l’I.A. è parte, escludendo altresì la possibilità che essa possa diventare titolare di un proprio patrimonio.

  • Il paradigma dell’agire 

Da ultimo, si pone chi propende per una visione dinamica della soggettività, dando rilevanza all’aspetto relativo alla capacità di azione[19]: in questa prospettiva si tutela la persona intesa come soggetto agente, caratterizzato da una generale “attitudine a comportarsi”, che “fa perno sul soggetto come protagonista dell’azione giuridicamente regolata”[20].

In tale componente è possibile individuare il carattere che meglio riesce a descrivere la situazione attuale delle I.A., che sono infatti in grado di compiere azioni complesse nei più diversi settori: si pensi ad esempio ai robot capaci di eseguire operazioni chirurgiche o di guidare autonomamente, oppure, con riferimento all’ambito propriamente giuridico, in grado di concludere contratti.

Non sembra allora sbagliato far leva sull’esistenza di questa “attitudine all’azione” per motivare la richiesta di maggiori diritti per le I.A., a partire proprio dal riconoscimento di una generale capacità di agire, nei settori ovviamente nei quali esse possono operare[21]. Questa ipotesi non deve sorprendere, se si pensa al fatto che la capacità di agire consiste nella capacità di compiere atti giuridicamente rilevanti[22], e già attualmente gli atti giuridici compiuti da un’I.A. sono considerati validi ed efficaci a tutti gli effetti: per fare un esempio, si pensi agli scambi di prodotti finanziari nei mercati mobiliari, che non sarebbe possibile invalidare solo perché conclusi con una controparte non umana[23].

Questa osservazione ci consente di segnare la distanza rispetto a tutte quelle teorie che si limitano a vedere nelle I.A. dei semplici mezzi di trasmissione della volontà umana, tentando di ricondurre ogni loro azione alla presunta volontà di chi ne dispone[24]. In questo senso, più correttamente, si dovrebbe ammettere l’impossibilità di risalire ad una volontà dell’uomo in tutti i casi di contrattazione automatica, nei quali è possibile, invece, individuare una determinazione propria dell’I.A.[25], che agisce in piena autonomia e senza una previa consultazione con il suo utilizzatore[26]. Da quanto detto emerge la necessità di valorizzare adeguatamente questa “attitudine all’azione” presente nelle I.A. attraverso il loro riconoscimento come soggetti di diritto, nei limiti e nella misura in cui esse possono agire ed operare autonomamente nel mondo giuridico. 

Nuove prospettive per la soggettività giuridica

Il percorso sopra condotto ci ha permesso di osservare che il riconoscimento delle I.A. come soggetti di diritto si potrebbe attuare solo in un caso, limitato alla capacità di agire nella sfera dei rapporti patrimoniali, mentre non sarebbe comunque possibile considerarle quali titolari di autonome posizioni giuridiche soggettive, siano queste di natura patrimoniale o personale. 

Queste osservazioni ci spingono ad avviare un cambio di prospettiva importante rispetto alla concezione tradizionale di soggettività: l’unico punto fermo sembra quello di evitare di adottare posizioni estreme, che neghino o affermino tout courtla soggettività alle I.A., e di favorire invece soluzioni che riescano meglio a rispecchiare la realtà composita che caratterizza queste nuove entità. Per questo motivo, sarà necessario promuovere un concetto di soggettività che sia meno legato ad una visione statica, cristallizzata intorno alla figura umana, e che presenti maggiori aperture verso la componente dinamica attinente alla sfera dell’azione.  

Si rivela adatta a tal fine una configurazione della soggettività a geometrie variabili, che presenti una struttura su due livelli, in cui maggiore o minore risulti l’attribuzione di un riconoscimento giuridico, a seconda della capacità effettivamente sviluppata dalle I.A. nei diversi ambiti considerati. In questo modo sarà possibile, da un lato, valorizzare quegli aspetti che meritano riconoscimento giuridico e, dall’altro, lasciare in ombra quegli altri profili che ancora non arrivano ad assumere consistenza agli occhi del giurista. Ciò significa ammettere un modello di soggettività attenuata, con il quale si procede all’attribuzione della qualità di soggetto in modo del tutto peculiare, prevedendosi il riconoscimento legato al profilo della capacità d’agire nei limiti delle operazioni di carattere patrimoniale, cui fa da contraltare l’impossibilità di diventare titolare di situazioni giuridiche soggettive, ossia, la mancanza della capacità giuridica. 

A ben guardare, il tentativo di costruire una diversa impostazione della soggettività non costituisce un sovvertimento del sistema, ma si pone in linea con il carattere tradizionalmente dinamico di questo concetto, in grado di adattarsi alla realtà e alla sensibilità giuridica delle diverse epoche. 

Si pensi al fatto che è un’acquisizione relativamente moderna anche la stessa definizione di capacità giuridica[27], intesa come l’astratta e generale idoneità ad essere titolare di situazioni soggettive attive e passive: non sempre infatti è stato così, e il nostro stesso ordinamento, in un passato non troppo lontano, negava la soggettività giuridica a determinati individui, per ragioni attinenti all’appartenenza razziale[28] o politica, tanto che si è sentita la necessità di ribadire in Costituzione, all’art. 22, che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”. Se risaliamo ancora più indietro nel tempo, troviamo conferma che la soggettività ha sempre avuto la capacità di mutare non solo nel corso degli anni, ma anche da un ordinamento all’altro[29]. La proposta qui formulata si limita allora a fornire uno spunto di riflessione sulla possibilità di modulare la soggettività giuridica diversamente da come oggi la conosciamo, mostrando che il radicamento intorno alla figura umana non può portare a farle perdere l’elasticità e il dinamismo che sempre ha avuto nella storia.


[1] A.Santosuosso, C.Boscarato, F.Caroleo, Robot e diritto: una prima ricognizione,Nuova Giur. Civ., 2012, 7, p. 494; J. Brockman, The New Humanists: Science at the Edge, Barnes & Noble, 2003, 21; D.A.Larson, Artificial Intelligence: Robots, Avatars and the Demise of the Human MediatorOhio State Journal on Dispute Resolution, vol.25, n. 1, 2010, 1; A.Zornoza, Robotica e diritto: riflessioni critiche sull’ultima iniziativa di regolamentazione in EuropaContr.Impresa/Europa, 2, 2016, 808.; P. Kaur, Artificial intelligence, inInternational Journal of Advanced Trends in Computer Applications (IJATCA), vol.3, n. 3, 2016, 19.

[2] P.Gallo, Soggetto di diritto, Dig. disc. Priv., 2019, 1. 

[3] P. Zatti, Persona giuridica e soggettività, Padova, 1975, 35.  

[4] F. D’Alessandro, Persone giuridiche e analisi del linguaggio, Milano, 1963, 311.

[5] F.Galgano, Persona giuridica, inDig. disc. priv., 1995, 10. 

[6] C.E.Pupo, La persona giuridica, Milano, 2015, 145.

[7] In particolare, a partire dall’Ottocento, la Pandettistica tedesca ricorse all’idea di finzione, elaborando una teoria in base alla quale la soggettività costituiva una prerogativa esclusiva degli uomini, ma il Legislatore poteva estenderla anche agli enti, considerandoli come delle persone “artificiali”, “finte”, delle persone “giuridiche” appunto.  

[8] G. Arangio Ruiz, La persona giuridica come soggetto strumentale, Milano, 1952, 55.

[9] F. Alcaro, Riflessioni critiche intorno alla soggettività giuridica: significato di un’evoluzione, Milano, 1976, 111.

[10] P. Zatti, cit., 183.

[11] B. Carboni, Status e soggettività giuridica, Milano, 1998, 153. 

[12] In senso critico N. Lipari, Diritti fondamentali e categorie civilistiche, Riv. Dir.Civ., 1996, I, 419.

[13] E. Russo, Diritti soggettivi, Enc. Giur. Treccani, Roma, 2006, 8 e 18. 

[14] G. Sartor, Il diritto della rete globaleIl diritto dei consumatori e della concorrenza in internet, a cura di G. Scorza, Padova, 2006, 22.

[15] G. Sartor, Gli agenti software: nuovi soggetti del ciberdiritto?, Contr.e Impr., 2002, 2, 465.

[16] A. Fusaro, Nome e identità personale degli enti collettivi. Dal <<diritto>> all’identità uti singuli al <<diritto>> all’identità uti universi,Nuova Giur. Civ., 2002, 2, 51. 

[17] E.Russo, cit., 19.

[18] R. Orestano, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, Jus, 1960, 149.

[19] A.Levi, Teoria generale del diritto, Padova, 1967, 282.

[20] P. Zatti,cit., 186.

[21] G. Sartor, Gliagenti software, cit., 7. 

[22] G.Alpa, Manuale di diritto privato, Padova, 2013, 155.

[23] T. Allen, R.Widdison, Can computers make a contracts?, Harvard Journal of Law & Technology, 1996, 15. 

[24] E.Tosi, Diritto privato dell’informatica e di Internet, Milano, 2006, 220. 

[25] G. Sartor, Gliagenti software, cit.,10.

[26] G.Pascuzzi, Il diritto dell’era digitale, Bologna, 2010, 184.

[27] A.Levi, cit., 240. 

[28] C.E.Pupo, cit., 3.

[29] P.Gallo, cit., 4.  


Biografia

Emanuela Morotti è Assegnista di Ricerca presso il Dipartimento di Diritto Privato e Critica del Diritto dell’Università degli Studi di Padova, dove ha conseguito il dottorato in Diritto Internazionale, Privato e del Lavoro, e dove si è laureata con lode. Si occupa principalmente di Diritto Civile, che ha approfondito anche all’estero presso il Max Planck Institute di Amburgo. Ha svolto incarichi di assistenza didattica presso l’Università di Torino e l’Università di Padova, sede di Treviso. È abilitata all’esercizio della professione forense e cultore della materia in Diritto Civile e in Diritto Privato. Ha partecipato anche a convegni in veste di relatrice, occupandosi in particolare del tema della soggettività giuridica delle Intelligenze Artificiali, che ha esposto presso l’Università di Udine e l’Università di Padova.