ABSTRACT
Partendo da alcune suggestioni patristiche, il saggio proposto intende riflettere sulla natura razionale dell’essere umano, quale riflesso della creazione “a immagine di Dio” (di cui in Gen 1,26-27). Nello specifico, la lettura e l’analisi di alcuni testi di Clemente Alessandrino e Agostino d’Ippona ci consentiranno di cogliere la valenza che l’intelletto umano (νοῦς/ mens/ intellectus) assume in un contesto segnato da un peculiare orizzonte filosofico e sensibile alle istanze teologiche. Nell’opera di Clemente la natura razionale dell’umanità è il riflesso del lógos divino, il Figlio, di cui l’essere umano è immagine. Agostino d’Ippona, interrogandosi su dove debba essere rinvenuta l’immagine di Dio nell’uomo, afferma: «Ubi imago Dei? In mente, in intellectu» (In Evangelium Ioannis tractatus, III, 4).
L’analisi di questi due Padri e della loro sintesi ci aiuterà a rileggere l’odierna querellemente-cervello/corpo. Parlare dell’intelligenza e, più in generale, dell’essere umano, equivale per i Padri a confrontarsi con qualcosa di ontologicamente “già dato” e con un imperativo etico “da compiere”. In questo senso, l’intelligenza ci rimanda al donoe al compito: a ciò che caratterizza l’essere umano (dono) e al cammino che questi, liberamente, è chiamato a compiere (compito).
Ignazio GENOVESE, Pontificia Università Gregoriana, Roma / Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Trocchi”, Civita Castellana / Istituto Teologico “Leoniano”, Anagni / Centro Diocesano di Teologia per Laici, Roma
Paper
La natura razionale dell’immagine di Dio e il compito della libertà Contributi per una rilettura del rapporto mente/cervello in chiave patristica
Il contributo proposto intende riflettere sull’intelletto umano (νοῦς/ mens/ intellectus), quale tema portante della riflessione antropo-teologica di matrice patristica. Nello specifico, prendendo le mosse dalla teologia di (1.) Clemente Alessandrino e (2.) Agostino d’Ippona, sarà analizzato il rapporto che l’intelligenza umana intrattiene con lo spirito divino. L’intelligenza, nell’alveo di un’ampia e consolidata tradizione patristica, non è concepita come mera facoltà umana, ma quale sigillo della creazione “a immagine di Dio”. Alla luce di queste premesse, (3.) seguiranno delle considerazioni relative alla necessità di trovare un’idonea declinazione della quaestiomente/cervello nel pensiero dei Padri. In una prospettiva teocentrica, la natura razionale dell’essere umano non si risolve in facoltà astratta e/o disgiunta da Dio. In questo senso, il rapporto mente/cervello potrebbe semmai essere letto nei termini del “dono” e del “compito”. Il “dono” ontologico dell’immagine, rinvenibile, entro certi termini, nella natura razionale dell’essere umano, si apre a un rapporto dinamico con la libertà. Il “compito”, proprio della libertà, è quello di rendere l’immagine umana simile all’archetipo divino.
- “A immagine di Dio”: secondo spirito e ragione (κατὰ νοῦν καὶ λογισμόν)[1]
Clemente Alessandrino[2] riveste un ruolo di primo piano nell’ampia e consolidata tradizione patristica che identifica l’immagine divina, di cui in Gen1, 26-27, con la facoltà razionale-spirituale dell’essere umano[3]. Le pagine dell’Alessandrino sono, a tal proposito, estremamente chiare. Ma per coglierle nella loro profondità, occorre fare alcune premesse. Nello specifico, è necessario individuare il contesto filosofico di riferimento e, in secondo luogo, analizzare la terminologia adottata da Clemente per presentare l’anima umana e le sue diverse facoltà.
Quanto al contesto filosofico-culturale, appare innegabile il debito di Clemente Alessandrino nei confronti delle filosofie del tempo[4], in particolare il (medio e neo) platonismo[5] e lo stoicismo[6], e del pensiero di Filone Alessandrino[7]. Appare fondamentale ricordare, a questo riguardo, che il concetto di νοῦςha proprio nella teologia di Filone e nelle istanze platonizzanti dei diretti referenti. Come ricorda Lilla, infatti:
Clemente di Alessandria fa propria la concezione filoniana di Dio come n. che è sede delle idee […]. Che Clemente abbia considerato Dio come n. risulta anche dall’enfasi da lui posta sulla sua volontà […], concezione che ha in comune con il maestro Panteno e con Ammonio Sacca […]. Come per Filone, così anche per Clemente la mente umana è un elemento divino […] e un’essenza purissima, «soffiata» nell’uomo al momento della creazione […]. Giacché essa è «l’immagine dell’immagine», vale a dire del logos […].[8]
Sulla scorta della filosofia platonica, Clemente sposa una visione tricotomica dell’essere umano (σῶμα, ψυχήe νοῦς)[9] e associa l’immagine di Dio al νοῦς. Ma che cos’è il νοῦςnell’antropologia di Clemente Alessandrino? In un accurato studio sull’embriologia di Clemente, la Rizzerio passa in rassegna i termini-chiave πνεύμα,ψυχήe νοῦς, e sottolinea che proprio quest’ultimo, il νοῦς, è il più difficile da classificare[10]. Il νοῦςdi Clemente mantiene un profondo legame con le istanze filosofiche, ma non dimentica l’orizzonte teologico. Potremmo affermare che il νοῦς si configura come l’elemento di raccordo fra il contesto filosofico e il testo antropo-teologico delle argomentazioni di Clemente. Così si esprime la Rizzerio:
Il termine nousinfine si rivela, sotto molti aspetti, il più difficile da classificare, perché è utilizzato nella maniera più impropria e più ambigua. Il maestro d’Alessandria lo utilizza in riferimento alla terza parte dell’anima, quella che ha certamente un’origine soprannaturale ed è infusa attraverso un’azione diretta dello Spirito Santo nell’uomo che ha la fede. Ma dire che il nousd’origine soprannaturale coincide con l’intelletto può sembrare quasi negare l’evidenza che il nous appartiene all’uomo per natura.[11]
E più avanti:
se, nel suo tentativo di definire la parte «spirituale» dell’anima, s’orienta verso il termine nous, ciò risulta dal fatto che la tradizione filosofica greca l’aveva utilizzato per designare la facoltà atta a conoscere i principi immateriali di tutte le cose e dunque l’elemento umano più connaturale alla sostanza intelligibile. È dunque soprattutto per analogia e per imitazione che il nostro autore utilizza il vocabolo nousper definire la parte decisamente soprannaturale dell’anima.[12]
Alla luce di queste premesse, a un tempo filosofiche e teologiche, è possibile scorgere nel νοῦς di Clemente un elemento di raccordo tra la dimensione naturale/razionale e quella spirituale dell’essere umano[13]. E, in questo senso, un intrinseco e costitutivo rapporto tra naturale e soprannaturale[14]. A quanto detto, si aggiunga uno specifico elemento cristologico. Questa dimensione razionale-spirituale dell’essere umano, non può non esser letta in relazione al Logos divino. «L’uomo è immagine di Dio soltanto attraverso la mediazione del Logos, è quindi soltanto l’immagine dell’Immagine, terzo anello della catena ancorata in Dio»[15].
Volgiamoci adesso ad analizzare alcuni testi tratti dalle opere maggiori di Clemente (il Pedagogo, il Protreptico e gli Stromati), concernenti la dottrina dell’immagine di Dio[16]. Ne scegliamo alcuni, più direttamente legati al tema in esame.
Un primo aspetto che emerge dall’analisi dei testi, è l’idea che la dottrina biblica della creazione a immagine di Dio si riferisca alla dimensione razionale-spirituale dell’essere umano, al νοῦς, all’essere λογικός, non al corpo[17]. In questo senso, in Stromati, II,19,102,6, leggiamo: «Essa [sc. la Scrittura], con l’espressione «ad immagine e somiglianza», come sopra abbiamo detto, non si riferisce a ciò che è secondo il corpo [κατὰ σῶμα], poiché non si può assimilare mortale ad immortale, ma soltanto secondo spirito e ragione [κατὰ νοῦν καὶ λογισμόν]»[18]. Questa dimensione razionale, pur legata a premesse filosofiche, vanta un profondo radicamento cristologico. Come anticipato, la natura razionale dell’essere umano è comprensibile alla luce del Verbo, Logos di Dio.
Invece «immagine di Dio è il suo Verbo» (2Cor 4,4) (è infatti Figlio legittimo della Mente il Verbo divino, luce archetipo della luce) e immagine del Verbo è l’uomo vero, cioè la mente che è nell’uomo [ὁ νοῦς ὁ ἐν ἀνθρώπῳ] il quale per questo motivo si dice che è stato creato a «immagine» di Dio e a sua «somiglianza» (Gen1,26) poiché per mezzo dell’intelligenza del suo cuore è fatto simile al Verbo divino e per questo razionale [διὰ τοῦτο γεγενῆσθαι λεγόμενος, τῇ κατὰ καρδίαν φρονήσει τῷ θείῳ παρεικαζόμενος λόγῳ καὶ ταύτῃ λογικός].[19]
In questo contesto, concernente la creazione a immagine di Dio,Clemente inserisce anche un esplicito e diretto riferimento alla gnosi[20]. Negli Stromati, infatti,associa la realizzazione della somiglianza, quale imitazione di Dio, alla vita dello gnostico.
«A immagine e somiglianza [sc. di Dio]», questi è lo gnostico, che imitando Dio nella misura del possibile, nulla tralasciando della realizzabile somiglianza, esercita il controllo ed è paziente, vive rettamente, domina le passioni, dà ciò che ha, per quanto è possibile, benefica con la parola e con l’opera. [Οὗτός ἐστιν ὁ “κατ’ εἰκόνα καὶ ὁμοίωσιν”, ὁ γνωστικός, ὁ μιμούμενος τὸν θεὸν καθ’ ὅσον οἷόν τε, μηδὲν παραλιπὼν τῶν εἰς τὴν ἐνδεχομένην ὁμοίωσιν, ἐγκρατευόμενος, ὑπομένων, δικαίως βιούς, βασιλεύων τῶν παθῶν, μεταδιδοὺς ὧν ἔχει, ὡς οἷός τέ ἐστιν, εὐεργετῶν καὶ λόγῳ καὶ ἔργῳ].[21]
Ed è proprio questo rapporto tra immagine e somiglianza, adombrato dal passo testé citato, una delle chiavi di volta del pensiero di Clemente e di una sua possibile attualizzazione, come avremo modo di vedere nel terzo paragrafo, nell’ambito della querelle mente/cervello.
- «Ubi imago Dei? In mente, in intellectu»(In Evangelium Ioannis tractatus, III,4[22])
Agostino d’Ippona, l’immagine di Dio e la natura razionale dell’essere umano
La dottrina agostiniana dell’immagine di Diovanta un profondo legame con le istanze teologico-filosofiche del mondo greco. Per cui, pur con le sue innegabili peculiarità[23], cercheremo qui di situarla anzitutto nella sua cornice più prossima: il neoplatonismo e l’eredità filoniana. In questo senso, non appare fuori luogo sostenere, per il tramite di questo humus culturale, una certa affinità fra l’esegesi dell’imago Deidi Clemente Alessandrino e quella di Agostino d’Ippona[24]. Il trait d’union tra questi due mondi può essere rintracciato nella formazione filosofica dell’Ipponate[25], così come nella figura del vescovo Ambrogio, alla quale è legata la conversione di Agostino[26]. Fatto sta, che il tema dell’immagine diviene uno dei cardini della riflessione teologica agostiniana.
Nel tentativo di “situare” l’imago Dei, Agostino ritiene di poterla rintracciare, in continuità con quanto aveva sostenuto Ambrogio[27], nella mens, nell’intellectus– e non nel corpo[28]. Un testo chiave, a tal proposito, è il De Genesi ad litteram III,20,30. Qui, declinando insieme Gen1,26 (creazione a immagine di Dio) e Gen1,28 (esercizio del dominio sulle realtà terresti), l’Ipponate afferma:
A questo punto non si deve neppure passare sotto silenzio che, dopo aver detto: a nostra immagine, la Scrittura soggiunge immediatamente: e abbia dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su tutti gli altri animali privi di ragione, per farci intendere, appunto che l’uomo è fatto a immagine di Dio in relazione alla facoltà per cui è superiore agli animali privi di ragione [ut videlicet intellegamus in eo factum hominem ad imaginem Dei, in quo irrationalibus animantibus antecellit]. Orbene, questa facoltà è proprio la ragione o mente o intelligenza o con qualunque altro nome voglia chiamarsi questa facoltà [Id autem est ipsa ratio, vel mens, vel intellegentia, vel si quo alio vocabulo commodius appellatur]. Ecco perché l’Apostolo dice: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell’uomo nuovo, che si rinnova per la conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che l’ha creato. Queste espressioni mostrano assai bene in rapporto a che cosa l’uomo è stato creato a immagine di Dio, e cioè non rispetto alle fattezze del corpo ma alla natura – diciamo così – intelligibile dell’anima quando è stata illuminata [satis ostendens ubi sit homo creatus ad imaginem Dei, quia non corporis lineamentis, sed quadam forma intellegibili mentis illuminatae].[29]
Il testo in esame si contraddistingue per tre elementi chiave. Il primo risiede nella tesi, già anticipata, per la quale l’immagine di Dio nell’uomo deve essere ricercata nella sua dimensione razionale e non nelle fattezze fisiche. Un secondo aspetto è da ricercare nella intercambiabilità dei termini utilizzati per presentare il “luogo” di quest’immagine –«ratio, vel mens, vel intellegentia, vel si quo alio vocabulo commodius appellatur»[30]. Un terzo aspetto, infine, risiede nella natura di questa facoltà razionale. Lungi dal “ridurre” l’intelligenza a mera facoltà logico-argomentativa, Agostino ne coglie un peculiare aspetto teocentrico. Si tratta della teoria dell’illuminazione, una rilettura in termini biblici e creazionistici della dottrina platonica dell’anamnesi[31]. «Come Dio, che è puro Essere, con la creazione partecipa l’essere alle altre cose, così, analogamente, in quanto è Verità, partecipa alle menti la capacità di conoscere la Verità, producendo un’impronta metafisica della Verità medesima nelle menti. Dio come essere ci crea, come Verità ci illumina, come Amore ci attira e ci dona la pace»[32]. Entro certi termini, questa prospettiva la si evince in quel «sed quadam forma intellegibili mentis illuminatae»[33], che contraddistingue la natura dell’anima umana. Sebbene non direttamente legate a questo testo, mi sembrano utili, per coglierne appieno lo spirito, le seguenti considerazioni di Stefanini:
nel passaggio dal vestigioall’imagine, cioè dalla natura fisica alla natura razionale, la creatura si avvicina al suo Esemplare e tende consapevolmente a congiungersi al suo Principio. Ciò che è fatto attraverso il Verbo-Imagine (per imaginem) si lega alla sua natura spirituale per essere esso stesso imagine e inoltrarsi con risposta di volontà e di amore verso la sua origine (ad imaginem). Pensare è, per l’uomo imagine di Dio, niente altro che il raccogliersi della persona su se stessa per possedersi.[34]
L’individuazione dell’immagine di Dio nella facoltà razionale dell’essere umano è sostenuta in diversi altri testi. Ne ricordiamo alcuni. In De symbolo,1,2 l’Ipponate lega insieme facoltà razionale e orizzonte teocentrico: «Fece anche l’uomo, con la mente a sua immagine e somiglianza. Nella mente infatti c’è l’immagine di Dio, perciò la mente non può essere compresa neppure da se stessa, in quanto c’è in essa l’immagine di Dio»[35]. Analogamente, nel Commento al Vangelo di Giovanni III,4, in modo lapidario afferma: «Ubi imago Dei? In mente, in intellectu»[36]. Altri aspetti di questa teologia dell’immagine emergono in due passaggi del De Trinitate: XI,5,8 e XII,7,12. Nel primo, Agostino ravvisa nell’immagine il legame diretto e profondo esistente fra Dio e l’essere umano: «Perché l’immagine che è espressione diretta di Lui è quella tra la quale e Lui stesso non si interpone alcuna creatura[Ea quippe de illo prorsus exprimitur, inter quam et ipsum nulla interiecta natura est]»[37]. Nel secondo, leggendo Gen 1,26-27 alla luce di alcuni passi paolini (Ef 4,23-24; Col3,9-10; Gal 3, 26-28 e 1 Cor 11,7), l’Ipponate afferma: «non c’è alcun dubbio che non è secondo il corpo [non secundum corpus], né secondo una qualsiasi parte dell’anima [neque secundum quamlibet animi partem], ma secondo l’anima razionale [sed secundum rationalem mentem] la quale può conoscere Dio, che l’uomo è stato fatto ad immagine di Colui che l’ha creato»[38]. Il riferimento, esplicito e diretto, non a una qualsivoglia parte dell’anima, ma all’anima razionale, è comprensibile alla luce di quanto lo stesso Agostino afferma poco dopo: «L’immagine di Dio non risiede se non nella parte dello spirito dell’uomo che si unisce alle ragioni eterne, per contemplarle ed ispirarsene [ut non maneat imago Dei, nisi ex parte mens hominis aeternis rationibus conspiciendis vel consulendis adhaerescit], parte che, come è manifesto, possiedono non solo gli uomini, ma anche le donne»[39]. A margine di questo passaggio, ci sembra utile soffermarci brevemente su due aspetti, tra loro interconnessi: la distinzione fra ratio superior e inferiore il rapporto fra creazione a immagine di Dio e distinzione uomo-donna. Relativamente alla prima, occorre precisare che per l’Ipponate solo la ratio superior, ordinata alla conoscenza della verità[40], è da intendersi propriamente imago Dei. Non allo stesso modo la ratio inferior, che dirige le attività temporali[41]. Quanto alla distinzione uomo-donna, il passo, letto nella sua interezza, cerca di armonizzare Gen 1,27 («E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò») con1 Cor11,7 («L’uomo non deve coprirsi il capo, perché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo»[42])[43]. Nello specifico, Agostino cerca di rispondere al seguente interrogativo: «Perché allora l’uomo non deve velare il suo capo perché è immagine e gloria di Dio, mentre la donna deve velarlo, perché è gloria dell’uomo[cfr. 1 Cor 11,7], come se la donna non si rinnovasse nella sua anima spirituale, che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che l’ha creata [cfr. Col 3,10; Ef 4,23]?»[44]. Posta la distinzione sessuale esistente fra i due, nel velo è possibile scorgere un’immagine di quella ragione ordinata alle realtà temporali. Emergono così, ad un tempo, la comune natura dei sessi e il loro carattere simbolico. Per l’Ipponate maschile e femminile sono immagine della dialettica fra le due forme di ragione – contemplativa e attiva[45]–, e icone del rapporto fra mens e concupiscentia[46]. Ma, conclude Agostino al termine di questo discorso simbolico: «L’immagine di Dio non risiede se non nella parte dello spirito dell’uomo che si unisce alle ragioni eterne, per contemplarle ed ispirarsene, parte che, come è manifesto, possiedono non solo gli uomini, ma anche le donne»[47].
- Quale immagine di Dio? Quella somigliante
Clemente, Agostino e il cammino, libero e complesso, di assimilazione a Dio
Ricostruite le posizioni di Clemente Alessandrino e Agostino d’Ippona, cercheremo adesso di proporne un’attualizzazione, sulla scorta della ben nota querelle mente-cervello/corpo. Il problema contemporaneo, infatti, gravita attorno all’antitesi fra libertà/autodeterminazione (connessa a una interpretazione emergentistadella mente, intesa quale facoltà che trascende il puramente fisico della corporeità e delle sue propaggini neuronali) e determinismo/biologismo (legato all’identitàfra mente e cervello, per cui la prima si dà nell’orizzonte del secondo)[48]. Entro certi termini, l’odierna questione non appare estranea al contesto patristico. Come abbiamo visto, a una prima lettura dei testi di Clemente e Agostino, il radicamento della mens in Dio sembrerebbe a tal punto adamantino, da non riuscire a scorgerne un libero dinamismo. La tesi dei Padri in esame andrebbe tuttavia letta in senso totalmente opposto. Partiamo da un principio, tanto fondamentale quanto spesso ignorato: la riflessione patristica prende le mosse dal dettato biblico. Dettato che concepisce l’essere umano come un soggetto libero, affidato nelle mani del suo proprio consiglio[49]. In questo senso, conoscere il bene non equivale ipso factoa compierlo. L’intellettualismo morale di una certa linea filosofica greca non può non fare i conti, per i Padri, con l’ardua e quotidiana scelta del bene, con la morale delle “due vie”[50], con il paolino «io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19)[51]– l’“intellettualismo” si trasforma, così, in un vero e proprio “volontarismo”. In questo senso, a Clemente e Agostino non resta che fissare la mente in Dio, senza per ciò stesso escludere un processo di progressiva assimilazione. Creato a immagine di Dio, l’essere umano deve divenirne immagine somigliante. Qui la terminologia platonica dell’assimilazione e la caratura etica delle filosofie ellenistiche sembrano venire incontro alle esigenze del primo cristianesimo, il cristianesimo dei Padri. Questo “percorso” di assimilazione, inoltre, proprio per le sue forti istanze etiche, è riconducibile a un processo pedagogico. E di questo processo formativo, dal profondo carattere antropo-teologico, Clemente e Agostino sono due testimoni.
Sullo sfondo di una mens radicata in Dio, traduzione della creazione a Sua immagine, emerge l’imperativo etico dell’assimilazionea Lui, anch’essa ricondotta al pensiero biblico. Idea, quella dell’approssimarsi al divino e di una assimilazione a Lui, che ricorre spesso in Platone. Quest’assimilazione al divino si configura come quel processo per cui l’anima umana tende al superamento della dissomiglianza, e va alla ricerca di quella parentela con il divino che, adottando il dettato platonico, occorre definire come “imitazione di Dio”[52] e/o somiglianza a lui[53]. In questo processo di formazione e maturazione dell’animo umano un ruolo di primo piano svolge la μίμησις, da intendersi come una sorta di assimilazione al dio (ὁμοίωσις θεῷ), tramite l’esercizio della virtù[54].
In Clemente, quella dell’assimilazione, platonicamente intesa, è una via tanto necessaria quanto razionalmente percorribile. L’immagine razionaleesige l’orizzonte eticodell’assimilazione. L’Alessandrino istituisce così una dialettica polare tra εἰκώνe ἐξομοίωσις[55]
Immagine di Dio è il Logos divino e sovrano – Uomo non soggetto a passioni –, immagine dell’immagine è la ragione umana [εἰκὼν δ’ εἰκόνος ἀνθρώπινος νοῦς]. E se vuoi intendere sotto altro nome questa assimilazione, troverai che in Mosè è nominata accompagnamentodi Dio [ἀκολουθίαν ὀνομαζομένην θείαν]; dice infatti: «Andate dietro al Signore vostro Dio e osservate i suoi comandamenti» [Dt 13,4]. E tutti i virtuosi sono, naturalmente, seguacie cultori di Dio [ἀκόλουθοι δ’, οἶμαι, καὶ θεραπευταὶ θεοῦ πάντες οἱ ἐνάρετοι].[56]
In questo brano di Clemente risulta oltremodo chiaro il profondo radicamento biblico che s’intende istituire fra immagine e assimilazione: radicamento fondato sul logos umano, immagine dell’immagine del Logos divino. Radicamento ordinato all’assimilazione, all’andare dietro, all’essere in, con e per Dio. Da un punto di vista filosofico, quest’assimilazione non è priva di paradigmi. Anzi, come prima sottolineato, un ruolo di primo piano giocano il platonismo e lo stoicismo. Lo stesso Clemente, del resto, proseguendo l’argomentazione di cui sopra, così cerca di radicare filosoficamente questo processo di “sequela”/“assimilazione”: «Di qui gli Stoici derivarono l’assunto che il fine della filosofia è vivere in conformità della natura, e Platone l’assimilazione a Dio [ἐντεῦθεν οἱ μὲν Στωϊκοὶ τὸ τέλος τῆς φιλοσοφίας τὸ ἀκολούθως τῇ φύσει ζῆν εἰρήκασι, Πλάτων δὲ ὁμοίωσιν θεῷ]»[57]. La contaminazione tra le istanze etiche dello stoicismo e la dottrina platonica dell’assimilazione a Dio[58] ci mostrano un Clemente capace di leggere il paradigma biblico in chiave filosofica. Il tutto per spiegare quel processo di progressiva assimilazione a Dio, termine ultimo, biblicamente e filosoficamente, del progresso spirituale dell’essere umano[59]. In questo “tendere” alla trascendenza divina, risulta certamente complesso distinguere quanto vi sia di assimilazione platonica e quanto di ascesi cristiana[60]. Una cosa è certa, il percorso tracciato da Clemente non è privo di una guida. Si tratta di Cristo, vero Pedagogo in questo processo di assimilazione. Così Clemente nel Pedagogo:
Ordunque, noi siamo chiamati a riamare Colui che è la nostra amorevole guida sul cammino di una vita nobilissima; siamo chiamati a vivere secondo le disposizioni del suo volere, non solo compiendo ciò che egli ci comanda ed evitando ciò che ci vieta, ma anche prendendo in considerazione gli esempi che egli, come immagini, ci propone: respingeremo le une e imiteremo il più possibile le altre, e in tal modo compiremo, per somiglianza, le opere del Pedagogo, affinché si realizzi quel che sta scritto: A immagine e somiglianza.[61]
Anche in Agostino, pur nella complessità delle sue letture del dettato genesiaco, legate a referenti e contesti diversi, è possibile rintracciare una tensione fra il dono dell’immagine (anche se deformata dal peccato[62]) e il processo di assimilazione a Dio. Le categorie dell’Ipponate sono, tuttavia, ben diverse. Agostino, come altri Padri, non distingue immagine e somiglianza[63], anche se questo non implica una sostanziale discontinuità rispetto al tema dell’assimilazione[64]. Piuttosto, possiamo dire che in lui il baricentro si sposta su un filone che attraverserà con maggior forza la teologia occidentale: quello dei rapporti tra grazia e libertà. Nel processo di approssimazione a Dio, occorre fare i conti con una natura ferita dal peccato, dalla colpa. In tal senso, la libertà diviene il termine attraverso il quale, animati della grazia, si è in grado di compiere il bene che si deve compiere. Il processo di santificazione si fonda su un’inscindibile sinergia, tanto complessa da mantenere quanto difficile da esprimere[65], fra grazia e libertà. È questa la chiave del pensiero agostiniano maturo. In tal senso, Trapè afferma:
Della grazia così intesa A. difende la necessità, l’efficacia e la gratuità. Insegna a difendere libertà e grazia, perché Cristo è insieme, secondo le Scritture, salvatore e giudice; sostiene che si debbano mantenere le due verità anche quando non se ne veda l’armonia, che è una questione difficile per tutti e comprensibile a pochi; indica nella «soave liberalità dell’amore» il modo di conciliare l’una e l’altra: la grazia non è irresistibile contro la volontà, ma aiuta la volontà a resistere alla tentazione. Infine, sul mistero della predestinazione, di cui sente la profondità, mette in rilievo la gratuità della salvezza, della quale è esempio fulgido lo stesso Salvatore, l’uomo Cristo Gesù (De praed. s. 15,30; De dono pers. 24,67): tanto l’inizio della fede che la perseveranza finale sono doni di Dio.[66]
Ma il tema dei rapporti fra grazia e libertà, al quale viene spesso “ridotta” l’antropologia teologica agostiniana, non è l’unica chiave di lettura della relazione fra l’uomo e Dio. Anche in Agostino, come nei Padri greci, è presente il tema dell’assimilazione – aspetto tanto filosoficamente quanto teologicamente centrale[67]. Per comprendere la profondità della dottrina agostiniana dell’assimilazione, pur senza la pretesa di esaurirne tutti gli aspetti, riportiamo, di seguito, alcuni brani dell’Ipponate. In continuità con il più ampio dettato patristico, Agostino parla della partecipazione alla vita divina, della deificazione, precisando che: «Non è infatti in virtù della loro natura che gli uomini sono dèi ma divengono tali partecipando alla natura dell’unico vero Dio [non enim existendo sunt homines dii, sed fiunt participando illius unius qui verus est Deus]»[68]. E altrove: «Dio, in realtà, vuol fare di te un dio, non però per natura come è colui che ha generato, ma per suo dono e per adozione [Deus enim deum te vult facere; sed non natura, sicut est ille quem genuit; sed dono suo et adoptione]»[69]. Deificazione legata alla Sua grazia: «È chiaro dunque che ha chiamato dèi gli uomini, deificati per sua grazia, non nati dalla sua sostanza [Manifestum est ergo, quia homines dixit deos, ex gratia sua deificatos, non de substantia sua natos]»[70]. Assimilazione frutto della “forza unitiva” dell’amore: «Ciascuno è tale quale l’amore che ha. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? dovrei concludere: tu sarai Dio. Ma non oso dirlo io e perciò ascoltiamo la Scrittura: Io ho detto: Voi siete dèi e figli tutti dell’Altissimo (Sal 81, 6)»[71].
Giunti al termine di questa ricostruzione, appare chiaro come per i due autori l’intelligenza, quale facoltà conoscitiva, non può essere scissa da un più ampio orizzonte teologico. L’intelligenza appare segnata da una certa “teonomia”, traccia di un già dato e di un destino da compiere. L’intelletto, icona creata dell’eterno Dio, è, anzitutto e in primo luogo, una facoltà dinamica. Conoscere è riconoscersi – il “sé” come originato da Dio. E, alla fine, tendere verso quel Dio, come avevano insegnato i filosofi. Come indicato dalla testimonianza biblica della divinizzazione e dell’adozione filiale. La persona umana non potrebbe essere veramente “immagine” o “a immagine”, non potrebbe manifestare Dio, trascendente la natura che essa “enipostatizza”, se non avesse la facoltà di assimilazione a Dio. Interviene qui il momento dell’homoiôsis, della somiglianza, con tutto quel che può comportare di eredità platonica risalente al Fedro e al Teeteto. Nell’antropologia cristiana, ben inteso, la somiglianza o l’assimilazione a Dio non sarà mai concepibile altrimenti se non per mezzo della grazia che viene da Dio, il che esclude la syngeneianaturale della filosofia greca, sostituendola con l’idea dell’adozione filiale[72].
[1] Il titolo del paragrafo echeggia quanto sostenuto da Clemente in Stromata, II,19,102,6 (GCS 15, 169).
[2] Per una prima introduzione alla vita e al pensiero di Clemente Alessandrino, cfr. M. Loré, «L’impegno pedagogico di Clemente Alessandrino fra influssi filosofici greci e profonda fede cristiana», Ricerche pedagogiche 53 (2019) 86-100.
[3] In questa linea muovono, solo per fare alcuni esami, Dattrino («Per i Padri di area alessandrina l’uomo a immagine non è l’uomo integrale, tanto meno il corpo o la carne, come per la tradizione asiatica, ma l’anima, o meglio il nous, o mens, sede della conoscenza, della libertà e di ogni virtù. Solo indirettamente la sublimità dell’immagine si ripercuote sul corpo, il quale, non potendo partecipare alla natura invisibile e spirituale dell’immagine, si situa a un livello nettamente inferiore. In sostanza, l’uomo è immagine, non nel senso biblico di Gen 1,26-27, o nel senso paolino che raccorda strettamente Col 1,15, con Gen 1,26-27 e con 1 Cor 15, 45-49, ossia dell’uomo come totalità, ma secondo la concezione filosofica greca»: L. Dattrino, Creati a immagine di Dio. La dignità dell’uomo nel pensiero dei Padri, Roma 2003, 19-20) o Iammarone («La seconda[ovvero, la prospettiva alessandrina, ndr] (Clemente Alessandrino, Origene, S. Atanasio ecc.) vede l’uomo creato ad immagine di Dio nella sua anima spirituale (nous) dotata di intelletto e volontà secondo l’esemplare divino del Verbo Increato, unica vera, perfetta ed eterna immagine del Padre. In questa prospettiva lo spirito umano è messo in rapporto diretto ed immediato con il suo esemplare divino, origine e mèta (patria) del suo dinamismo interiore»: G. Iammarone, «L’uomo immagine di Dio. Riflessioni per una spiritualità dell’immagine», Teresianum 46 (1995) 583-592).
[4] L’enfasi accordata al ruolo della riflessione filosofica è tale da spingere Clemente a sostenere che Dio ha dato ai Greci la filosofia come «un testamento loro proprio [οἷον διαθήκην οἰκείαν αὐτοῖς]» (Stromata, VI,8,67,1; GCS 15, 465; trad. it., nostra). Tutto ciò deve essere letto all’interno di una teologia che ritiene che il Logos si sia parzialmente rivelato nell’universo filosofico/religioso pagano, in particolare in alcuni suoi autori (Platone e Omero, solo per ricordarne due). Autori che Clemente cita a più riprese nelle sue opere. Del resto, come ricorda Barr: «Clemente sembra essere stato il primo ad introdurre nel Cristianesimo una teoria dell’ispirazione divina degli autori greci pagani. Giustino aveva riconosciuto in loro particelle del Logos, ma con Clemente si parla di una vera e propria ispirazione, qualcosa di simile all’ispirazione biblica» (R. Barr, Breve patrologia, Brescia 1982, 44). Per una prima introduzione al rapporto tra cristianesimo primitivo e filosofia greca, nel contesto della riflessione patristica, si vedano: J. Daniélou, Messaggio evangelico e cultura ellenistica, Bologna 1975, 359-380 e R. Cantalamessa, «Cristianesimo primitivo e filosofia greca», in Id., a cura di, Il Cristianesimo e le filosofie, Milano 1971, 26-57.
[5] A sostenere l’influsso quasi esclusivo del medio-platonismo, del neoplatonismo e dello gnosticismo nel pensiero di Clemente Alessandrino è Lilla (cfr. S. Lilla,Clement of Alexandria. A study in Christian Platonism and Gnosticism, Oxford 1971).
[6] Cfr., in merito, la dettagliata ricostruzione dei rapporti fra stoicismo e cristianesimo in età imperiale della Ramelli (cfr. I. Ramelli, «Aspetti degli sviluppi del rapporto fra stoicismo e cristianesimo in età imperiale», Styles 12 (2003) 103-135.
[7] Sull’influsso di Filone di Alessandria nel cristianesimo primitivo, cfr. D.T. Runia, Filone di Alessandria nella prima letteratura cristiana. Uno studio d’insieme, Milano1999. Sui rapporti tra Filone e Clemente Alessandrino, si veda: B. Mondin, Filone e Clemente, Roma 1984. Il debito nei confronti di Filone, oltre ad aspetti contenutistici, passa anche per l’uso dell’allegoria: «Oltre che per la complessità degli argomenti trattati, il discorso di Clemente era reso particolarmente impegnativo dal continuo ricorso all’allegoria quale strumento esegetico, secondo una moda inaugurata da Filone Ebreo, esponente di spicco della comunità giudaica ellenizzata presente in Alessandria d’Egitto» (M.Loré, «L’impegno pedagogico di Clemente Alessandrino fra influssi filosofici greci e profonda fede cristiana», cit., 93).
[8] S. Lilla, «Nous», in A. Di Berardino, ed., Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane. II. F-O, Genova-Milano 20072, cl. 3548.
[9] A proposito dell’antropologia dell’Alessandrino, Altaner sostiene: «Anche la Tricotomia platonica dell’uomo (σῶμα, ψυχή, νοῦς) è sostenuta da Clemente» (B. Altaner,Patrologia, Genova 19686, 199).
[10] Cfr. L. Rizzerio, «Les problème des parties de l’âme chez Clément d’Alexandrie», Nouvelle Revue Théologique111 (1989) 394.
[11] Ibid. (trad. it nostra).
[12] Ibid. (trad. it nostra).
[13] Così la Rizzerio: «Il nouscorrisponde alla parte superiore dell’anima, analogamente alla decima parte della struttura del creato, e coincide con la conoscenza di Dio» (Ibid., 401; trad. it., nostra).
[14] Così Crouzel: «Clemente di Alessandria, Origene e Gregorio di Nissa non fanno alcuna distinzione tra naturale e soprannaturale: l’i. [sc. immagine] allora è il desiderio del soprannaturale e il suo germe; il naturale, in certa misura, è contenuto implicitamente nell’i.» (H. Crouzel, «Immagine», in A. Di Berardino, ed., Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane. II. F-O, cit., cl. 2535)
[15] A.-G. Hamman,L’uomo immagine somigliante di Dio, Milano 1991, 33. Per quanto concerne il Logos in Clemente, si veda: M.J. Edwards, «Clement of Alexandria and his doctrine of the Logos», Vigiliae Christianae 54 (2000) 159-177.
[16] «Tutte, ma quest’ultima [sc. gli Stromati] in maniera particolare, affrontano il tema dell’immagine e somiglianza, facendo riferimento soprattutto a Filone, che aveva ampiamente commentato il libro della Genesi» (A.-G. Hamman, op. cit., 32).
[17] A proposito del corpo, Hamman sostiene: «Se Clemente, fedele a Filone, esclude il corpo dall’immagine e dalla somiglianza, purtuttavia ne loda la bellezza fisica e vede nella posizione dell’uomo eretto un’immagine del Logos» (Ibid., 33-34).
[18] Clemens Alexandrinus, Stromata, II,19,102,6 (GCS 15, 169; trad. it., Stromati. Note di vera filosofia, Milano 1985, 314). In termini analoghi in V,14,94,3-4: «A ragione dunque Mosè dice che il corpo fu formato dalla terra, (quel corpo) che Platone chiama “tenda terrestre”, ma l’anima razionale è stata infusa dall’alto, da Dio all’uomo [εἰκότως ἄρα ἐκ γῆς μὲν τὸ σῶμα διαπλάττεσθαι λέγει ὁ Μωυσῆς, ὃ γήινόν φησιν ὁ Πλάτων σκῆνος, ψυχὴν δὲ τὴν λογικὴν ἄνωθεν ἐμπνευσθῆναι ὑπὸ τοῦ θεοῦ εἰς πρόσωπον]» (GCS 15, 388; trad. it., nostra).
[19] Clemens Alexandrinus, Protrepticus, 10,98,4 (GCS 12, 71; trad. it. Il Protrettico, Roma 1991, 154-155). Analogamente in Paedagogus,I,2,4,1-2: «1. Il nostro Pedagogo, o figli, assomiglia a Dio suo Padre […]: è Dio immacolato sotto forma di uomo, servitore della volontà paterna, Logos Dio [λόγος θεός], che è nel Padre ed è alla destra del Padre, Dio anche nella forma. 2. Egli è per noi l’icona senza macchia [εἰκὼν ἡ ἀκηλίδωτος], a lui dobbiamo cercare di rendere simile la nostra anima» (GCS 12, 91; trad. it., Il Pedagogo, Roma 2005, 36-37).
Del resto, come sostiene Crouzel in riferimento alla dottrina patristica dell’immagine: «Nei confronti degli uomini il Verbo è un’i. intermediaria, poiché l’uomo è stato creato con riferimento a lui» (H. Crouzel, «Immagine», cit., cl. 2536).
[20] Per un’ampia e dettagliata presentazione della gnosi in Clemente Alessandrino, si veda: G. Bendinelli, «Fede e gnosi nel cristianesimo primitivo. Ireneo e Clemente Alessandrino a confronto», Divus Thomas 108 (2005) 13-54 (spec., per quanto riguarda l’Alessandrino, le pagine 32-50). Bendinelli, partendo da un testo di Clemente (Stromata, II,10,46,1: GCS 15, 137), ritiene che «conoscenza della verità, perfezione morale, disponibilità alla missione educatrice, pongono a fuoco il campo d’azione in cui si esercita la vita e l’attività dello gnostico» (Ibid., 32).
[21] Clemens Alexandrinus, Stromata, II,19,97,1 (GCS 15, 166; trad. it., nostra).
[22] I testi di Agostino presenti in questo saggio, tanto nella versione latina quanto nella tradizione italiana, sono tratti da: https://www.augustinus.it/
[23] Iammarone presenta l’esegesi agostinana dell’imago Dei come una terza prospettiva, altra rispetto a quella alessandrina e a quella asiatica. «La terza infine (quella di Agostino, ma anche di tutta la tradizione teologica occidentale sino al Vaticano II) vede l’immagine di Dio nell’anima dell’uomo, meglio nella mens, che nelle sue tre dimensioni di memoria, intelletto e volontà riflette sul piano creaturale l’Unita e la Trinità di Dio creatore» (G. Iammarone, «L’uomo immagine di Dio. Riflessioni per una spiritualità dell’immagine», cit., 587). Di fatto, la peculiarità di Agostino, non risiede nell’identificazione dell’imago Deicon la mens, quanto in sua rilettura in termini psicologici e teologico-trinitari. È nota, a tal proposito, la sua teoria dell’analogia psicologica, che intravede un dinamismo teologico-trinitario in numerose triadi dello spirito umano, fra le quali ricordiamo: mens, notitia e amor [De Trinitate, IX,3,3], memoria, intelligentiae voluntas [De Trinitate, IX,11,7]. Per una dettagliata ricostruzione dell’analogia psicologica, si veda: A. Trapè, «Introduzione – Teologia», in Augustinus Hipponensis, La Trinità, Roma 1973, XXXVIII-XLII. Per una puntuale disamina delle triadi psicologiche presenti nel De Trinitate, cfr. C. Yin Yam – A. Dupont, «A mind-centred approach of imago Dei. A dynamic construction in Augustine’s De Trinitate XIV», Augustiniana62 (2012)9-10, n. 5. Inoltre, non sfugge a Lossky come il percorso argomentativo agostiniano proceda in modo altro rispetto all’orizzonte greco. Non dall’uomo a Dio, ma da Dio all’uomo. «La prima via cercherà di conoscere Dio partendo dall’uomo creato a sua immagine; la seconda via vorrà definire la vera natura dell’uomo partendo dalla nozione di Dio, a immagine del quale l’uomo è stato creato» (V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, Bologna 19852, 106). Per un’ampia e dettagliata disamina della teologia agostiniana dell’immagine, cfr. A.-G.Hamman, op. cit., 54-60.
[24] Il rapporto tra Clemente Alessandrino e Agostino d’Ippona è stato oggetto di analisi soprattutto da un punto di vista pedagogico. Si veda, in merito, il nostro: I. Genovese, «L’esercizio della libertà e il ruolo della formazione: la figura del pedagogo nel primo cristianesimo», in M.T. Spiga, a cura di, Giovani e scelte di vita. Prospettive educative. Atti del Congresso Internazionale organizzato dall’Università Pontificia Salesiana e dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium. Roma, 20-23 settembre 2018.II. Comunicazioni e “Buone pratiche”, Roma 2019, 67-75.
[25] È possibile, a tal proposito, ricorrere a un brano dello stesso Agostino, tratto dal De Accademici (III,20,43): «Tutti sanno che noi siamo stimolati alla conoscenza dal duplice peso dell’autorità e della ragione. Io ritengo dunque come certo definitivamente di non dovermi allontanare dall’autorità di Cristo perché non ne trovo altra più valida. Riguardo poi a ciò che si deve raggiungere col pensiero filosofico, ho fiducia di trovare frattanto, nei platonici, temi che non ripugnano alla parola sacra. Tale è infatti la mia attuale disposizione che desidero di apprendere senza indugio le ragioni del vero non solo con la fede ma anche con l’intelligenza». In questo testo il Doctor gratiaesottolinea chiaramente il rapporto di continuità esistente fra la parola sacra e il pensiero dei platonici. Del resto, negli scritti agostiniani, in particolar modo nel De civitate Dei, è a più riprese sottolineata l’affinità esistente tra la riflessione filosofica platonica e i principi cristiani. «Per quanto riguarda dunque il sommo e vero Dio vi sono filosofi i quali hanno ritenuto che egli è l’autore del creato, la luce della conoscenza, il bene dell’azione e che da lui abbiamo ricevuto il principio dell’essere, la verità del sapere e la felicità del vivere. Più propriamente sono detti platonici, o anche altri, qualunque denominazione diano alla propria setta» (De civitate Dei, VIII,9). A quanto detto si aggiungano, fra le altre, la tesi che Platone avrebbe conosciuto l’Antico Testamento (cfr. Ibid., VIII,11) e che, se si fosse inteso con Porfirio, si sarebbe fatto cristiano (Ibid., XXII,27). Quanto ai platonici, così chiamati per denominazione dal loro maestro Platone (cfr. Ibid., VIII,12), essi furono intelligenti, colti ed esercitati nella filosofia (cfr. Ibid., VIII,6). Nessun filosofo si è avvicinato come loro al cristianesimo («Nessun filosofo si è avvicinato come essi a noi cristiani»: Ibid., VIII,5), sebbene, per il vanto di chiamarsi platonici, si vergognino di essere cristiani («Non v’è ragione dunque per cui i platonici, per attaccare la fede cristiana, fingono di non sapere ciò che sanno oppure, disdicendosi, preferiscono teorizzare contro se stessi pur di non smettere la polemica contro di noi»: Ibid., XIII,16.1). Sui punti di contatto tra Agostino e il neoplatonismo, cfr. R. Pozzi, «Note sulla presenza del Neoplatonismo nel pensiero filosofico di sant’Agostino», in Euntes Docete55 (2002) 107-131. Per una più ampia contestualizzazione filosofica dell’opera agostiniana, anche in relazione al pensiero contemporaneo, si veda: L. Stefanini, «Il problema della persona in S. Agostino e nel pensiero contemporaneo», Revue d’Etudes Augustiniennes et Patristiques 1 (1955) 55-68.
[26] Questo profondo legame tra Agostino e Ambrogio – che conosciamo dalla sola prospettiva dell’Ipponate – trova una sua eloquente cifra in un passo delle Confessioni (VI,3,3-4). Qui, fra l’altro, Agostino riconduce ad Ambrogio la comprensione che la creazione a immagine di Dio debba intendersi in senso spirituale e non corporale.
Quanto alla formazione culturale di Ambrogio e al suo legame con i Padri greci, con Filone e con Plotino, cfr. B. Altaner,Patrologia, cit., 392-393. Relativamente alla creazione dell’essere umano e alla dottrina dell’imago Dei nel pensiero di Ambrogio, cfr. L. Dattrino, «Gen 1, 26-27 e Gen 2, 7 nella interpretazione patristica (le scuole “asiatica” e “alessandrina”)», Teología y Vida53 (2002) 202-203.
[27] Sulla continuità fra Agostino e Ambrogio in merito all’imago Dei, cfr. L. Dattrino, Creati a immagine di Dio, cit., 29 (con relativa bibliografia alla nota 36).
[28] «Il corpo non è il luogo dell’immagine, tuttavia, oltre a essere vestigium di Dio come tutto il creato, essendo fatto per il servizio dell’azione razionale, partecipa indirettamente alla qualità dell’immagine, sia perché esiste e vive, sia perché, capace di contemplare il cielo per la sua statura eretta, esso si avvicina all’immagine-somiglianza più del corpo animale» (L. Dattrino, Creati a immagine di Dio, cit., 30-31). Sui rapporti anima-corpo in Agostino, si vedano alcune interessanti considerazioni di Brambilla. Questi ricostruisce le diverse chiavi di lettura con cui è presentata la dottrina dell’Ipponate: dalla teoria «platonica dell’unione accidentale e quella, orientata verso l’aristotelismo, dell’unione sostanziale» (F.G. Brambilla, Antropologia teologica. Chi è l’uomo perché te ne curi?, Brescia 2005, 346, con relativa bibliografia alla nota 40), per chiudere con la tesi che l’unità dell’uomo «non è né accidentale né sostanziale, ma ipostatica» (Ibid., 347).
[29] Augustinus Hipponensis, De Genesi ad litteram, III,20,30.
[30] Ibid.
[31] Per una prima introduzione alla teoria agostiniana dell’illuminazione, si veda: R. Jolivet, «La doctrine augustinienne de l’illumination», in F. Cayré – Id. – C. Boyer, a cura di, Mélanges augustiniens publiés à l’occasion du XV e centenaire de saint Augustin, Paris 1931, 52-172.
[32] G. Reale – D. Antiseri, Il pensiero occidentale. 1. Antichità e Medioevo, Brescia 2013, 446.
[33] Augustinus Hipponensis, De Genesi ad litteram, III,20,30.
[34] L. Stefanini, «Il problema della persona in S. Agostino e nel pensiero contemporaneo», cit., 58.
[35] «Fecit et hominem ad imaginem et similitudinem suam in mente: ibi est enim imago Dei; ideo mens ipsa non potest comprehendi nec a se ipsa, ubi est imago Dei» (De symbolo ad Catechumenos tractatus unus, 1,2).
[36] Augustinus Hipponensis, In Evangelium Ioannis tractatus, III,4.
[37] Augustinus Hipponensis, De Trinitate, XI,5,8.
[38] Augustinus Hipponensis, De Trinitate, XII,7,12.
[39] Ibid.
[40] «Questa verità che cogliamo con il puro “intelletto” è costituita dalle Idee, che sono rationes intelligibiles incorporalesque rationes, che sono le supreme realtà intelligibili di cui parlava Platone» (G. Reale – D. Antiseri, op. cit., 445). Occorre tuttavia precisare che Agostino, diversamente da Platone, «interpreta le Idee come i pensieri di Dio (come già avevano fatto – sia pure in differenti modi – Filone, i medioplatonici, Plotino e i Padri greci» (Ibid.).
[41] «Nella mente Agostino distingue ulteriormente due rationes: quella inferior, volta alle cose del mondo, e la superior, rivolta verso le verità eterne, e quindi verso Dio. Solo questa seconda è propriamente imago Dei, perché incorruttibile come Dio. Non vien meno neppure quando il corpo si corrompe, perché conosce Dio, lo invoca, lo ama, in altre parole è in comunione con lui» (L. Dattrino, Creati a immagine di Dio, cit., 30). Questa distinzione può esser letta all’interno di un’ampia e consolidata tradizione “esegetico-filosofica”, che si contraddistingue per le seguenti associazioni: maschio-intelletto-agire (ἀνήρ– νοῦς– δράω), femmina-senso-patire (γυνή– αἴσθησις– πάσχω). In questo senso, ad esempio, Filone Alessandrino: «Come infatti l’uomo si distingue per l’agire e la donna al contrario per il patire, così anche l’intelligenza si riconosce nell’agire, mentre la facoltà sensitiva, allo stesso modo della donna, si riconosce nel patire» (Philo Alexandrinus, Legum allegoriae, II,38; trad it., La creazione del mondo. Le allegorie delle leggi, Milano 1978, 224).
[42] Questo versetto paolino è oggetto di differenti letture esegetiche. C’è chi lo legge come una peculiare ermeneutica paolina di Gen 1,27, fondata su Gen 2,18. Così Murphy-O’Connor: «Nella tradizione giudaica, perfettamente familiare a Paolo, la donna era anche l’immagine […] e gloria di Dio […]. Ma Paolo, qui, non poteva parlare in questo modo. Egli doveva trovare una formula che sottolineasse la differenza tra i sessi, e l’idea che la donna desse gloria all’uomo […] era giustificata da Gen2,18, passo a cui si riferisce nel v. 9» (J. Murphy-O’Connor, «La prima lettera ai Corinzi», in NGCB, 1057-1058). Diversa è l’interpretazione propostane da Gnilka, il quale ritiene si tratti di «un’affermazione ad hocnello scontro con la comunità di Corinto. Vuole richiamare all’ordine le donne che, seguendo la moda del tempo, si presentavano al servizio divino in modo sconveniente» (J. Gnilka, Teologia del Nuovo Testamento, cit., p. 43).
[43] Così, Agostino, insieme a numerosi altri Padri e teologi, cercherà di “armonizzare” questi due testi biblici, sostenendo una comune partecipazione dell’uomo e della donna all’imago Dei, pur con tutta una serie di distinguo. Sul tema in Agostino, si veda, in particolare: K.E. Børresen, «L’anthropologie théologique d’Augustin et de Thomas d’Aquin. La typologie homme-femme dans la tradition et dans l’église d’aujourd’hui», Recherches de science religieuse 69 (1981) 393-407. Per una presentazione del tema della creazione a immagine di Dio, in relazione alla distinzione uomo-donna, si veda la miscellanea: K.E. Børresen, a cura di, A immagine di Dio. Modelli di genere nella tradizione giudaica e cristiana, Roma 2001.
[44] Augustinus Hipponensis, De Trinitate, XII,7,12.
[45] Ci riferiamo, nello specifico, alla ragione contemplativa e alla ragione attiva, richiamate, fra l’altro, anche in De Trinitate, XII,12,19, con questa splendida immagine: «esiste, nello spirito di ciascun uomo, una specie di matrimonio tra la ragione contemplativa e la ragione attiva [in mente uniuscuiusque hominis quaesivimus quoddam rationale coniugium contemplationis et actionis]».
[46] Il rapporto fra mens e concupiscentiaè riletto dall’Ipponate anche in termini ascetici. Per Agostino l’ascesi èfrutto di un processo di progressiva emancipazione dello spirito dalle realtà temporali, della mens dalla concupiscentia. Ma, in questo caso, la mens e la concupiscentia, parafrasando le parole di Agostino, assumono una propria specifica figura (figuratur) nel corpo maschile e femminile (secundum sexum corporis). Pertanto, ciò che nell’uomo sono la mens e la concupiscentia, nella distinzione sessuale sono il maschile e il femminile. Pensiero, questo, che si colloca in straordinaria continuità con il dettato filoniano (cfr. n. 41).
[47] Augustinus Hipponensis, De Trinitate, XII,7,12. Commentando la dottrina agostiniana dell’imago Deie la sua relazione con la distinzione sessuale, la Horowitz così si esprime: «Man and woman are in the image of God in relation to the highest aspect of themselves, their rationality, their will, and their capacity to share in the Divine life (De trin.14.8.11). Unique among animals, man has a “soul endowed with reason and intelligence” (De civ. Dei 12.23)» (M.C. Horowitz, «The image of God in man. Is woman included?», Harvard theological review52 (1979) 201).
[48] Cfr. F.G. Brambilla, op. cit., 362-366. La questione, meglio nota come mind-body problem, è ricondotta da Brambilla ai seguenti interrogativi: «Ecco le domande ricorrenti nella questione mente-corpo o mente-cervello. Esiste quella che chiamiamo la mente? Essa si differenzia dal cervello, oppure basta quel meccanismo prodigioso del cervello a spiegare le facoltà e la condotta dell’essere umano? È necessario supporre un fattore non organico, non materiale per spiegare il fenomeno umano? La diatriba su materiale-immateriale, fisico-mentale, corpo-mente consacra anche nel linguaggio una visione dualistica; e anche chi conclude che esiste soloil materiale, il fisico, il cerebrale ripete capovolto l’errore dualista»(Ibid., 363). Per ulteriori approfondimenti, si veda: I. Sanna, «L’antropologia cristiana e gli interrogativi delle neuroscienze», in Aa. Vv., Uomini, animali o macchine. Scienze, filosofia e teologia per un “nuovo umanesimo“. Atti del XV Corso dei Simposi rosminiani. 27-30 agosto 2014, Rovereto 2015, 33-56.
[49] Si pensi, solo per fare un esempio, a Sir 15,14: «Da principio Dio creò l’uomo e lo lasciò in balìa del suo proprio volere [αὐτὸς ἐξ ἀρχῆς ἐποίησεν ἄνθρωπον καὶ ἀφῆκεν αὐτὸν ἐν χειρὶ διαβουλίου αὐτοῦ]».
[50] Si pensi, in tal senso, al Salmo 1 e, in ambito patristico, alla morale veicolata dalla Didachè.
[51] A tal proposito, commentando l’idea di libertà presente nel sistema teologico agostiniano, nel manuale di Reale e Antiseri leggiamo: «La libertà è propria della volontà e non della ragione nel senso in cui l’intendevano i Greci. E così si risolve l’antico paradosso socratico secondo cui è impossibile conoscere il bene e fare il male. La ragione può conoscere il bene e la volontà può respingerlo, perché essa, pur appartenendo allo spirito umano, è facoltà differente dalla ragione, avente una propria autonomia rispetto alla ragione, ancorché a essa in parte legata. La ragione conosce, la volontà sceglie, e può scegliere anche l’irrazionale, ossia ciò che non è conforme alla retta ragione» (G. Reale – D. Antiseri, op. cit., 458). In questo senso, nel De natura et grazia, Agostino ci presenta un uomo che «o a causa dell’ignoranza non ha nel libero arbitrio della volontà la capacità di scegliere quello che esige la rettitudine delle azioni, ovvero che per la resistenza dell’abitudine carnale, che la prepotenza della successione mortale ha in qualche modo consolidata come un’altra natura, vede quello che esige la rettitudine delle azioni e lo vuole e non riesce a farlo [et qui recte facere cum posset noluit, amittat posse cum velit]» (Augustinus Hipponensis, De natura et gratia, 67,81; corsivo nostro).
[52] Plato, Respublica, X, 613AB: «Così, dunque, bisogna pensare dell’uomo giusto, quando si trovi in povertà o infermo o in una condizione ritenuta dolorosa: che per lui questa situazione alla fine si rovescerà in un bene o quando è ancora vivo, o da morto. Non accadrà mai, infatti, che gli dèi non si curino di chi vuole sinceramente essere giusto e mettere in pratica la virtù per farsi simile a dio, almeno per quanto è possibile ad un essere umano» (trad. it., Tutti gli scritti, Milano 20106, 1321). Questo tratto del platonismo è colto come costitutivo dallo stesso Agostino: «Se dunque Platone ha affermato che il sapiente è imitatore, conoscitore e amatore di Dio per esser beato nella partecipazione di lui, non c’è bisogno di esaminare gli altri platonici. [― E prosegue ―] Nessun filosofo si è avvicinato come essi a noi cristiani» (De civitate Dei, VIII, 5).
[53] Plato,Leges, IV, 716CD: «E qual è il modo di agire di chi è amico e seguace del dio? Uno e uno solo; quello che si esprime in questa antica massima: che il simile è amico del simile, purché sia secondo misura, perché le realtà prive di misura non solo non si attraggono fra di loro, ma neppure sono attratte da quelle dotate di misura. E per noi è dio la somma misura di tutte le realtà, assai più che non lo sia l’uomo, come qualcuno va sostenendo. Ora, se uno vorrà diventare amico di un essere così sublime, bisogna che quanto più è possibile si faccia simile a lui. E sulla base di tale principio possiamo ben affermare che chi fra di noi è temperante è amico di dio, proprio perché è a lui simile, mentre invece chi non è temperante è, rispetto a dio, dissimile e difforme e, per questo, ingiusto. E lo stesso dicasi per tutti gli altri caratteri» (trad. it., op. cit., 1535). Per una più ampia disamina, cfr. F.G. Brambilla, op. cit., 407.
[54] Termine ultimo della παιδεία platonica è l’impressione del trascendente nell’umano e la via per giungerci risiede nel rendersi «simili a Dio secondo le proprie possibilità [ὁμοίωσις θεῷ κατὰ τὸ δυναντόν]» (Plato, Theaetetus, 176B; trad. it., op. cit., 224).
[55] «In realtà, nella dialettica che Clemente stabilisce tra il possesso dell’immagine di Dio (eikôn) e l’acquisizione della somiglianza (exhomoiôsis) per la realizzazione perfetta dell’umanità, si vede molto bene il ruolo fondamentale giocato da questa parte soprannaturale, precisamente nel sottolineare ciò che conduce al compimento naturale dell’uomo» (L. Rizzerio, «Les problème des parties de l’âme chez Clément d’Alexandrie», cit., 401; trad. it., nostra).
[56] Clemens Alexandrinus, Stromata, V,14,94,5-6 (GCS 15, 388; trad. it., op. cit., 625).
[57] Ibid., V,14,95,1 (GCS 15, 388; trad. it., op. cit., 625).
[58] Dottrina ricostruita da Clemente attraverso una puntuale e dettagliata disamina dei dialoghi platonici.
[59] Come ricorda Crouzel: «in Clemente e soprattutto in Origene l’i. è stata ricevuta al momento della creazione, come inizio o germe di divinizzazione, e la somiglianza, in accordo con i filosofi greci, è il fine o l’esito del progresso spirituale nella beatitudine» (H. Crouzel, «Immagine», cit., cl. 2536).
[60] Notevole è, a tal proposito, lo studio della Rizzerio (cfr. L. Rizzerio, «L’accès à la transcendance divine selon Clément d’Alexandrie: dialectique platonicienne ou expérience de l’“union chrétienne”?», Revue des Études Augustiniennes44 (1998) 159-179). In sintesi, partendo dall’analisi di Stromati, V,11,71,1ss., l’Autrice arguisce che per Clemente «la dialettica non è più sufficiente da sola quando si tratta di “conoscere” un Dio che è Persona. Per questo serve una “relazione” personale e quindi l’esperienza della comunione con il Cristo, resa possibile grazie alla tradizione apostolica o gnostica» (Ibid., 179; trad. it., nostra).
[61] Clemens Alexandrinus, Paedagogus, I,3,9,1 (GCS 12, 95; trad. it., op. cit., 42). In termini analoghi muovono diversi altri passi del Pedagogo. Si pensi, ad esempio, a I,2,4,2: «Egli è per noi l’icona senza macchia, a lui dobbiamo cercare con tutte le forze di rendere simile la nostra anima» (GCS, 12, 91; trad. it., op. cit.,37) o a I,12,98,1-4 (GCS, 12, 148-149; trad. it., op. cit.,123-124).
[62] Agostino, stando ad Hamman, tramite una progressiva riflessione è in grado «di vincere le prime esitazioni e di giungere a una posizione decisa sul fatto che l’immagine non può essere perduta, quali che siano le vicissitudini del peccato, ma costituisce una possibilità costantemente aperta alla partecipazione divina» (A.G. Hamman, op. cit., 59). L’Autore fa riferimento, a titolo esemplificativo, a quanto sostenuto dall’Ipponate nel De Genesi ad Litteram libri duodecim (VI,27,38) e successivamente precisato nelle Retractationes (II,24,2). Di seguito i testi: De Genesi ad Litteram libri duodecim, VI,27,38: «Questa immagine, impressa nello spirito dell’anima nostra e perduta da Adamo a causa del suo peccato, noi la riceviamo per la grazia della giustificazione [Hanc imaginem in spiritu mentis impressam perdidit Adam per peccatum; quam recipimus per gratiam iustitiae]» e Retractationes, II, 24,2: «Quanto ho detto nel sesto libro, che cioè Adamo aveva perso col peccato l’immagine di Dio in base alla quale era stato creato, non va inteso nel senso che di quell’immagine non fosse rimasto nulla, bensì che s’era talmente deformata da richiedere una restaurazione [In sexto libro quod dixi: Adam imaginem Dei, secundum quam factus est, perdidisse peccato, non sic accipiendum est, tamquam in eo nulla remanserit, sed quod tam deformis, ut reformatione opus haberet]» .
[63] A tal proposito, così si esprime la Commissione Teologica Internazionale: «Sant’Agostino non ha fatto sua questa distinzione [sc. tra immagine e somiglianza], ma ha presentato una versione più personalistica, psicologica ed esistenziale dell’imago Dei. Per lui, l’immagine di Dio nell’uomo ha una struttura trinitaria, che riflette o la struttura tripartita dell’anima umana (spirito, coscienza di sé e amore) o i tre aspetti della psiche (memoria, intelligenza e volontà). Secondo Agostino, l’immagine di Dio nell’uomo lo orienta verso Dio nell’invocazione, nella conoscenza e nell’amore (Confessioni I, 1, 1)» (Commissione Teologica Internazionale, Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio (2004), num. 15).
[64] «Molti autori, come Atanasio, Gregorio di Nissa, Cirillo di Alessandria e Agostino, non separano la somiglianza dall’i. Ma, se facciamo astrazione dai concetti usati, essi insegnano la medesima dottrina, poiché la divinizzazione è sempre il fine ultimo dell’i.» (H.Crouzel, «Immagine», cit., col. 2536).
[65] Si pensi, a tal proposito, ad alcune fra le ultime opere di Agostino: De gratia et libero arbitrio, De correptione et gratia, De praedestinatione sanctorum e De dono perseverantiae– le ultime due nascono come una sola opera in due libri, successivamente trasformata in due opere.
[66] A. Trapè, «Agostino di Ippona», in A. Di Berardino, ed., Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane. I. A-E, Genova-Milano 20062, cl. 156.
[67] Il tema della partecipazione alla vita divina non è estraneo alla patristica occidentale. Seppur con termini differenti, anche i Padri latini ne sviluppano le molteplici implicazioni. Così Pollano: «La realtà e l’esperienza della divinizzazione non sono state espresse dai padri latini né con il vocabolario né con la perspicuità adottata dai greci» (G. Pollano, «Divinizzazione. Evoluzione storica di un termine fondamentale nell’esperienza cristiana», Teresianum 48 (1997) 389). E più avanti: «I padri latini usano, sul tema, il nome deificazione, termine di per sé non meno significativo ma privo di particolari connotazioni filosofiche» (Ibid., 390).
[68] Augustinus Hipponensis, Enarrationes in Psalmos, 118 (XVI),1.
[69] Augustinus Hipponensis, Sermones, 166,4.
[70] Augustinus Hipponensis, Enarrationes in Psalmos, 49,4.
[71] Augustinus Hipponensis, In epistolam Ioannis ad Parthos, 2,14.
[72] V. Lossky,A immagine e somiglianza di Dio, Bologna 1999, 176.
Ignazio GENOVESE, Pontificia Università Gregoriana, Roma / Istituto Superiore di Scienze Religiose “Alberto Trocchi”, Civita Castellana / Istituto Teologico “Leoniano”, Anagni / Centro Diocesano di Teologia per Laici, Roma
La natura razionale dell’immagine Divina e il compito della libertà. Contributi per una rilettura del rapporto mente/cervello in chiave patristica